Voto: 8/10 Titolo originale: La casa dalle finestre che ridono , uscita: 20-08-1976. Regista: Pupi Avati.
Dossier: La casa dalle finestre che ridono, Avati e gli orrori insondabili della provincia
02/08/2024 recensione film La casa dalle finestre che ridono di Marco Tedesco
Nel 1972 il regista tornava sulle scene con il più fulgido esempio del 'gotico padano', un'opera densa di atmosfera che non rinunciava a toccare temi spinosi
La casa dalle finestre che ridono di Pupi Avati, realizzato nel 1976, rappresentò un punto di svolta nel cinema giallo-horror italiano. La trama segue Stefano, un restauratore d’arte incaricato di riportare nuova vita un affresco raffigurante il martirio di San Sebastiano in una chiesa di un piccolo villaggio emiliano. Durante il suo lavoro, l’uomo scopre una serie di segreti inquietanti legati all’artista Buono Legnani, noto come “il pittore delle agonie”. Con l’aiuto di Francesca, una giovane insegnante, Stefano si addentrerà sempre più nel mistero, trovandosi di fronte a rivelazioni macabre che culminano in un finale scioccante.
Negli anni ’70, il cinema italiano stava vivendo un periodo di grande fermento, con una particolare predilezione per i generi giallo e horror, con registi come Dario Argento e Mario Bava che stavano ridefinendo questi generi attraverso un uso innovativo di effetti speciali e una narrazione visivamente potente. Tuttavia, Pupi Avati si distinse per un approccio diverso, concentrandosi maggiormente sulla psicologia e sull’atmosfera piuttosto che su effetti speciali o la violenza grafica.
Va ricordato che prima di questo film, Avati aveva già esplorato temi soprannaturali e psicologici in opere come “Balsamus, l’uomo di Satana” (1968) e “Thomas e gli indemoniati” (1969), che avevano mostrato un interesse per storie radicate nella cultura italiana rurale e nel gotico padano.
Questo preciso sottogenere, di cui Pupi Avati resta uno dei principali esponenti, si caratterizza per ambientazioni rurali, atmosfere decadenti e un forte senso del mistero e del macabro. In La casa dalle finestre che ridono, il regista utilizza questi elementi per creare un’opera che esplora tematiche profonde attraverso una lente gotica e folkloristica.
L’arte diventa allora una metafora per la perversione e la follia, con l’affresco di San Sebastiano a simboleggiare la tortura e la sofferenza. Questo tema è reso ancora più potente dal fatto che l’orrore è radicato nella realtà quotidiana del paesello, una comunità che nasconde i suoi segreti sotto una facciata di normalità.
Il film ha la capacità di creare una tensione psicologica attraverso un uso sapiente dell’atmosfera e della narrazione, con la regia di Avati caratterizzata da una cura meticolosa per i dettagli e un uso intelligente della luce e delle ombre. La fotografia di Franco Delli Colli utilizza colori tenui e un’illuminazione morbida per accentuare il senso di mistero, mentre la colonna sonora di Amedeo Tommasi, con i suoi toni cupi e dissonanti, sottolinea efficacemente l’inquietudine del film.
L’eredità di La casa dalle finestre che ridono è evidente nella sua influenza su una generazione di registi italiani e internazionali. Film come “Suspiria” (1977) e “Inferno” (1980) di Dario Argento, tra gli altri, mostrano l’influenza di Avati nella loro costruzione di atmosfere e nell’uso del colore e della musica per creare tensione.
E registi contemporanei come Luca Guadagnino, con il suo remake di “Suspiria” del 2018, riconoscono ad esempio l’importanza del contributo di Avati al cinema horror nostrano. Anche film come “Il signor Diavolo” (2019), diretto dallo stesso Pupi Avati, continuano a esplorare tematiche simili, mostrando come il regista abbia mantenuto una coerenza tematica e stilistica nel corso degli anni.
Le interpretazioni degli attori in La casa dalle finestre che ridono sono un altro punto di forza del film. Lino Capolicchio offre una performance convincente e profonda nei panni di Stefano, un personaggio che evolve da restauratore curioso a investigatore ossessionato. Francesca Marciano, nel ruolo di Francesca, aggiunge una dimensione di vulnerabilità e umanità alla narrazione. Bob Tonelli, Giulio Pizzirani e Gianni Cavina contribuiscono a creare un ambiente di mistero e inquietudine con le loro interpretazioni, mentre Tonino Corazzari, nei panni di Buono Legnani, lascia un’impressione duratura come il fulcro del Male che pervade il paese.
Una delle scene più scioccanti di La casa dalle finestre che ridono è la sequenza iniziale, caratterizzata da una colonna sonora minimalista e dissonante che accompagna immagini sfocate e surreali. Questa sequenza culmina con la scoperta di un uomo torturato, stabilendo immediatamente il tono oscuro e inquietante dell’opera.
Un’altra scena chiave è la rivelazione del segreto del Legnani, dove Stefano scopre che le sorelle dell’artista torturavano e uccidevano le loro vittime per catturare autentiche espressioni di dolore nei dipinti. Questo momento svela non solo la macabra dedizione del pittore all’arte, ma anche un oscuro sottotesto di sadismo e depravazione.
Il climax di La casa dalle finestre che ridono, in cui Stefano scopre che le sorelle di Legnani sono ancora vive, è invece reso con una tensione crescente e un senso di claustrofobia che culmina in un finale tragico e scioccante. La capacità di Pupi Avati di costruire suspense attraverso l’atmosfera e la narrazione piuttosto che attraverso l’uso di effetti speciali vistosi distingue il film nel panorama del giallo italiano.
La casa dalle finestre che ridono venne accolto con recensioni miste alla sua uscita, con alcuni critici che lodavano l’atmosfera opprimente e la costruzione della suspense, mentre altri criticavano il ritmo lento e la trama complessa. Tuttavia, col passare degli anni, è stato rivalutato e oggi è considerato un’opera d’arte sofisticata e un’importante aggiunta al genere del giallo. La sua riscoperta attraverso proiezioni nei festival e riedizioni in home video ha permesso poi alle nuove generazioni di apprezzarne le qualità uniche.
Viene ricordato per la sua capacità di esplorare tematiche profonde attraverso una lente gotica e folkloristica. L’arte è utilizzata come metafora per la perversione e la follia, con l’affresco di San Sebastiano che diventa un simbolo della tortura e della sofferenza. Questo tema è reso ancora più potente dal fatto che l’orrore è radicato nella realtà quotidiana del paese, una comunità che nasconde i suoi segreti sotto una facciata di normalità.
Pupi Avati esamina anche il potere dell’immagine e della narrazione, come l’arte può manipolare la percezione della realtà e come le storie possono essere usate per nascondere o rivelare verità scomode.
La struttura narrativa di La casa dalle finestre che ridono è costruita con attenzione e precisione, ogni dettaglio contribuisce a costruire un quadro complesso e affascinante. Stefano, il protagonista, è infatti un personaggio ben definito, la cui curiosità iniziale si trasforma lentamente in ossessione man mano che si addentra nei misteri del villaggio.
La sua progressiva scoperta dei segreti oscuri legati all’affresco e alle sorelle di Legnani è gestita con un ritmo che mantiene alta la tensione senza ricorrere a facili espedienti.
Il film è una testimonianza del talento di Pupi Avati nel mescolare elementi di folklore locale con un orrore sottile ma persistente. Le ambientazioni rurali, con le loro atmosfere decadenti e il senso di isolamento, contribuiscono a creare un contesto ideale per una storia di segreti nascosti e di follia.
Il villaggio emiliano, con le sue chiese antiche e le case fatiscenti, diventa quasi un personaggio a sé stante, un luogo intriso di storia e di oscuri presagi.
Pensiamo al momento in cui Stefano scopre i dipinti nascosti di Legnani, raffiguranti scene di tortura e sofferenza umana. Questi dipinti non sono solo una testimonianza della perversione dell’artista, ma anche un riflesso della corruzione morale che permea il villaggio. La scoperta di questi dipinti è un punto di svolta per il protagonista, che si rende conto dell’orrore nascosto dietro la facciata di normalità.
L’importanza di La casa dalle finestre che ridono risiede anche nella sua capacità di anticipare tematiche e tecniche che sarebbero state sviluppate da altri registi negli anni successivi. Ad esempio, l’uso dell’arte come metafora per l’orrore e la follia è un tema che è stato ripreso in film come “Il profumo della signora in nero” (1974) di Francesco Barilli e “La sindrome di Stendhal” (1996) di Dario Argento. Inoltre, l’ambientazione rurale e l’uso del folklore locale come elemento di suspense sono stati influenti per molti film horror italiani successivi.
La casa dalle finestre che ridono è infine significativo anche per il modo in cui tratta il tema della memoria e del passato. La scoperta dei segreti di Buono Legnani è un viaggio nel passato, in cui Stefano deve confrontarsi con le ombre di una storia dimenticata e con i peccati che continuano a influenzare il presente. Questo tema è rappresentato attraverso l’affresco stesso, un’opera che ha imprigionato il dolore e la sofferenza delle sue vittime, rendendo la loro agonia eterna.
In conclusione, La casa dalle finestre che ridono è un lungometraggio che trascende i confini del genere per diventare un’opera d’arte complessa e inquietante. Pupi Avati, attraverso una narrazione stratificata e un uso sapiente dell’atmosfera e della tensione, ha creato un film che esplora le profondità della psiche umana e delle dinamiche sociali, offrendo una critica sottile ma potente della corruzione morale e del potere della narrazione.
Ad oggi rimane un punto di riferimento per il cinema horror e un esempio di come il genere possa essere usato per esplorare temi complessi e profondi, lasciando un’eredità duratura nel panorama cinematografico italiano e internazionale.
Di seguito il trailer di La casa dalle finestre che ridono:
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