Voto: 5/10 Titolo originale: Village of the Damned , uscita: 28-04-1995. Budget: $22,000,000. Regista: John Carpenter.
Dossier: Villaggio dei Dannati di John Carpenter, un remake pallido come i suoi villain
01/10/2020 recensione film Villaggio dei dannati di William Maga
Nel 1995, Kirstie Alley e Christopher Reeve erano i protagonisti del poco ispirato rifacimento del classico del 1960, in cui la vena critica del regista si scontrava con le politiche commerciale dello studio
Gran parte dell’opera di John Carpenter si basa sulla rivisitazione di motivi familiari. Questo è vero sia che si guardi alla sua produzione di sceneggiature e alla regia – in cui abbondano remake e reimmaginazioni – che al suo lavoro sulle colonne sonore, la cui coerenza musicale conferisce ai suoi film migliori un carattere personale distintivo.
Un primo interesse verso i temi della sorveglianza e del controllo lo ha condotto al trio composto da Pericolo in agguato, Halloween – La notte delle streghe (la nostra recensione story) e Gli occhi di Laura Mars, tutti usciti nel 1978, e anche molti dei titoli successivi hanno in qualche modo replicato la formula, riproponendo materiale ‘di genere’ apparentemente familiare ma spingendolo verso conclusioni inedite e spesso sagaci e ciniche.
Tale pratica ormai consolidata continuava nel 1995 in Villaggio dei Dannati (Village of the Damned), un rifacimento del primo adattamento in bianco e nero del 1960 di Wolf Rilla dell’omonimo romanzo di John Wyndham pubblicato nel 1957 (in Italia intitolato I Figli dell’Invasione). Oltre a funzionare come un ‘aggiornamento’ ponderato e impegnato di ciò che altri avrebbero potuto superficialmente liquidare come mero cinema di serie B, continua anche la missione di John Carpenter di occultare un certo grado di analisi sociologica all’interno del genere fanta-horror, per lo meno nei primi minuti.
Il ‘partner tematico’ più vicino a Villaggio dei Dannati in un primo momento sembrerebbe allora essere Fog del 1980 (il nostro approfondimento), un’altra storia di resa dei conti soprannaturale ambientata in una cittadina costiera della California settentrionale, anch’essa girata nel ‘cortile di casa’ del regista. L’atmosfera inquietante di quel film è inizialmente eguagliata, mentre John Carpenter ripercorre con ma cinepresa il lavoro quotidiano della piccola Midwich, filmando una banale sequenza di interazioni ordinarie che passano la prospettiva da una persona all’altra.
Un forte senso di paura è sapientemente inserito in queste attività di routine e non passa molto tempo prima che, in effetti, si verifichi un disastro. Con picnic scolastico nel pieno del suo svolgimento, tutti quanti nel villaggio svengono immediatamente all’unisono, una sconcertante calamità che persiste per ben sei ore, mentre le autorità posizionano posti di blocco tutt’attorno ai confini della città per non far entrare nessuno nella ‘zona morta’ e cercando di capire cosa sia successo.
Lo sconcertante evento finisce però all’improvviso così come è iniziato, e l’intera cittadinanza si risveglia senza apparenti effetti negativi sulla salute, a parte per gli esiti di alcuni terribili e sanguinosi incidenti, necessari a creare un certo shock visivo. Tra questi c’è la morte del fedele marito Frank McGowan (Michael Paré), il cui viaggio per prelevare un contenitore di elio si trasforma in un disastro dell’Hindenburg in miniatura dopo che l’uomo perdi conoscenza al volante sulla via del ritorno.
Con questi frammenti di angoscia disseminati qua e là, Villaggio dei Dannati sembra pronto da qui in poi a svilupparsi quindi in una dissezione dinamica di come un imprevedibile disastro possa spaccare in due una comunità precedentemente pacifica. Al di là del lutto e del mistero, emergono ulteriori crepe, infatti, quando viene rivelato che un numero sproporzionato di donne della città ora è incinta, il che scatena una serie di ulteriori lotte domestiche.
Nessuna di queste, tuttavia, viene mai veramente sviluppata, dal momento che Villaggio dei Dannati esce completamente dai binari una volta che queste gravidanze sbocciano in nascite, attraverso una scena significativa in cui le dozzine di parti simultanei traboccano dalle strutture ospedaliere locali. Tutti i conflitti e le circostanze precedenti vengono così scaraventati da parte, così come pure la tensione nascente tra la dottoressa Susan Verner (Kirstie Alley), un’epidemiologa investigatrice senza troppi fronzoli, e l’affabile medico cittadino Alan Chaffee (Christopher Reeve). Piuttosto, l’azione salta diversi anni avanti fino all’educazione precoce di questo incredibile raccolto di bambini miracolosi, che minacciano la risoluzione catartica di tutti questi conflitti risolti frettolosamente tra gli adulti.
Capelli argentati e occhi glaciali, i bambini sono terribilmente precoci, dotati di una intelligenza non comune e spaventosamente inquietanti nell’aspetto e nei modi; parlano con una dizione perfetta e si muovono con precisione meccanica. Come un’entità monolitica che possiede abilità ESP e una mente ad alveare condivisa, sono sì l’incarnazione ambulante del trauma condiviso della città, ma ne sono anche un piatto simulacro, oltre che un avversario assolutamente ‘noioso’, che risucchia l’intera vita dal film ogni volta che appaiono sullo schermo.
Costretti a recitare contro questo gruppo di sinistri prodigi, persino attori come Christopher Reeve e Mark Hamill (anch’egli sotto impiegato nei panni dello straziato prete del paese), che invece offrono prestazioni credibili ed efficaci quando si scagliano l’uno contro l’altro, vengono declassati a comprimari di basso rango, che cercano di soffiare emozioni nel vuoto. Sembra quasi che il gruppo stesso abbia un effetto meta-testuale, cancellando lo sguardo potenzialmente interessante di Villaggio dei Dannati sulle dinamiche insite nelle piccole città della provincia americana allo stesso modo in cui loro operano nella cittadina stessa.
Nelle interviste rilasciate negli anni, John Carpenter ha ammesso un’ossessione infantile per una delle ragazze malvagie dell’originale del 1960, il che potrebbe spiegare l’estenuante predominanza di questi personaggi, che avrebbero funzionato meglio come contrappunti inquietanti all’azione principale, piuttosto che stando al centro dell’azione da veri e propri villain ‘classici’. Più probabilmente, la natura ‘accorcia e asciuga’ della seconda metà – poco brillante – di Villaggio dei Dannati ha avuto a che fare con le richieste dello studio, che ci aveva investito quasi 10 milioni di dollari (portandone a casa alla fine appena 22).
Inoltre, il regista ha fondamentalmente ammesso di aver scritto questo film ‘per contratto’, una dichiarazione postuma che stride parecchio con quelle entusiaste rilasciate invece durante le fasi della pre-produzione del progetto e che si potrebbe intendere come la volontà di prendere le distanze da un prodotto finale su cui non ha avuto il controllo creativo completo.
In ogni caso, qualunque sia la spiegazione, Villaggio dei Dannati finisce per adagiarsi nell’insignificante territorio degli horror thriller ignavi dei primi anni anni ’90, ma, soprattutto, rappresenta il primo insipido segnale della seconda fase meno brillante della carriera di John Carpenter (che era reduce dal clamoroso Il Seme della Follia del 1994), in cui le stesse preoccupazioni tematiche di sempre rimangono presenti, ma in cui il meccanismo per elaborarle inizia ad arrugginirsi.
Di seguito una scena clou di Villaggio dei Dannati:
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