Voto: 8/10 Titolo originale: Guillermo del Toro's Pinocchio , uscita: 09-11-2022. Budget: $35,000,000. Regista: Guillermo del Toro.
Pinocchio: la recensione del film in stop-motion di Guillermo del Toro (per Netflix)
03/12/2022 recensione film Pinocchio di Guillermo del Toro di William Maga
Il regista messicano - aiutato da Mark Gustafson - fa suo il racconto di Carlo Collodi, plasmandolo secondo la propria sensibilità per esaltarne gli aspetti più strazianti e umani
Il Pinocchio di Guillermo del Toro prodotto da Netflix non è solamente l’ennesima rivisitazione dell’iconico romanzo del 1883 scritto da Carlo Collodi, già adattato ben 21 volte per la TV o il cinema.
Tanto per cominciare, il debutto alla stop-motion dell’autore messicano – che ha co-diretto il film con Mark Gustafson (Fantastic Mr. Fox) – colloca la storia nell’Italia dell’epoca mussoliniana, posizionando questo Pinocchio come il terzo capitolo di un’ipotetica trilogia tematica sul raggiungimento dell’età adulta all’ombra del fascismo con La spina del Diavolo e Il labirinto del Fauno. E poi, in un montaggio d’apertura in grado di competere con quello di Up, incontriamo il gentile intagliatore Geppetto (doppiato in originale da David Bradley) e il suo figlioletto Carlo (Gregory Mann), il cui amore reciproco splende come il sole fino a quando un inaspettato, tragico momento di morte irrompe nelle loro vite.
Distrutto, affranto, assuefatto dall’alcol e straziato dal dolore, durante l’ennesima notte solitaria Geppetto decide così di scolpire nuovamente suo figlio dal tronco del pino nato dalla preziosa pigna che un tempo Carlo stesso aveva piantato. In un impeto di fervore creativo, un fulmine si abbatte e, in un’atmosfera di disperazione emotiva che segna solo uno dei molti modi in cui Guillermo del Toro traccia dei parallelismi sorprendenti tra le vicende di Pinocchio e di Frankenstein, l’opera è infine compiuta.
Al mattino, un benevolo Spirito del Bosco (Tilda Swinton) ha concesso al burattino di legno – anch’esso doppiato in modo toccante sempre da Gregory Mann – la vita, in modo che possa riempire di gioia gli anni rimanenti del padre Geppetto. Conosciamo a grandi linee la storia che seguirà, ma da questo inizio devastante e devastantemente umano, è chiaro che non l’abbiamo mai vista raccontata in questo modo.
Il vero trionfo del Pinocchio di Guillermo del Toro, al di là dell’incasellamento emotivo del viaggio di un padre in lutto e di un figlio senza radici verso l’accettazione e l’abbraccio dell’altro per quello che è piuttosto che per quello che non potrà mai essere, è la convinzione pregressa che questa debba essere una favola che celebra l’individualismo e la disobbedienza.
Non troverete qui il “guai ai ragazzi che si rifiutano di obbedire ai genitori” di Carlo Collodi o il prescrittivismo morale della Disney del “un ragazzo che non vuole essere buono tanto vale sia fatto di legno”.
Quando Pinocchio incontra un esponente fascista come l’algido Podestà (Ron Perlman), gli chiede “Chi ti controlla?”, e quando si ritrova addirittura a tu per tu con il Duce in persona, si mette a cantare dei movimenti intestinali del piccolo leader con toni da cherubino mentre agita il suo posteriore.
La sua vena ribelle e la sua feroce unicità sono la sua grande forza, anche se inizialmente le sue differenze lo etichettano, crudelmente, come un emarginato: se c’è una cosa che la gente teme di più di chi non conosce, è chi ha il coraggio di conoscere se stesso.
Questa fondamentale riconfigurazione e ricontestualizzazione del noto racconto di Carlo Collodi è la migliore dimostrazione del talento di Guillermo del Toro nell’intrecciare fantasia e realtà per accrescere la nostra comprensione della loro risonanza simbolica dai tempi di Il labirinto del Fauno.
Avvalendosi di una marionetta vera e propria, la cui umanità nasce dal fermo rifiuto di conformarsi, in un momento storico in cui gli uomini trattavano i ragazzi come ‘marionette per la guerra’, mentre essi stessi vedevano i loro fili tirati da poteri superiori, capiamo la futilità della guerra e la sua mostruosità cannibalistica. Come storia “di padri imperfetti e figli imperfetti”, parla a un’intera generazione di giovani uomini e di ragazzi indottrinati da una versione distorta del paternalismo rappresentato da fascisti come Benito Mussolini.
Altrove, gli incontri episodici di Pinocchio che si avventura nel mondo e ritorna a casa alla ricerca del padre rimangono, come in altri adattamenti, il nucleo strutturale della vicenda di Guillermo del Toro. Tuttavia, in questo caso, il rischio di rompere il ritmo narrativo o di soffocare la narrazione è attenuato dall’iniezione di affascinanti numeri musicali vaudevilliani guidati dai fiati, composti da Alexandre Desplat e co-scritti dallo stesso Guillermo del Toro.
Con una qualità classica che contrasta con la maggior parte delle canzoncine radiofoniche degli studi di animazione moderni, l’orchestrazione è senza tempo e restituisce facilmente la sensazione di trovarci di fronte a un futuro classico in divenire.
Siamo invitati a stupirci di ogni nuova, contorta ‘sporgenza’ che cresce dal naso bugiardo e allungato del nostro affascinante eroe, a guardare con stupore la mostruosità alla Harry Harryhausen della famigerata ‘balena’ e a goderci le cupe risate al tavolo dei conigli/Caronte che giocano a carte nell’Aldilà.
Ma sono gli occhi di un bambino spaventato arruolato in una guerra che non capirà mai, le ossa visibilmente scosse di un padre assalito dal dolore e dall’alcol, le bombe che piovono come angeli caduti da cieli infuocati – ognuna disegnata, realizzata e poi faticosamente posizionata dal geniale team della stop-motion di Guillermo del Toro e del co-regista Mark Gustafson – a rimanere impressi sui titoli di coda.
Il fatto che questo progetto profondamente personale di Guillermo del Toro – che ha perso il padre nel 2018, un decennio dopo aver tentato di dare vita a questo film, e la madre il giorno precedente all’anteprima mondiale – inizi e finisca davanti a una tomba è un profondo distillato dell’acuto senso di mortalità che l’autore messicano ha sviluppato nel corso della sua carriera.
Il suo Pinocchio è un racconto tanto debitore e riverente nei confronti del potere unificante del dolore e della morte quanto dei loro progenitori, l’amore e la vita. Ecco perché, nonostante non sia assolutamente un film per bambini, è comunque un film che i bambini dovrebbero vedere.
La semplice osservazione finale di Sebastian il Grillo, pronunciata con dolcezza, “Quello che succede, succede, e poi ce ne andiamo“, possiede una chiarezza filosofica che conferisce all’audace reinterpretazione di Guillermo del Toro dell’antica storia di Pinocchio una coda straziante ma piena di speranza. In definitiva, è la nostra ‘impermanenza’ a renderci umani: le nostre storie nel tempo sopravviveranno a tutti noi.
Questo grande racconto, una combinazione virtuosa di musica, animazione in stop-motion e significato profondo, riafferma il posto di Guillermo del Toro tra i più grandi narratori contemporanei. È un classico istantaneo, destinato a rimanere come il racconto definitivo di una storia che pensavate di conoscere fin troppo bene.
Di seguito trovate il full trailer italiano di Pinocchio, nei cinema per una settimana dal 4 dicembre e poi nel catalogo di Netflix in esclusiva dal 9 dicembre:
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