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Voto: 6/10 Titolo originale: Anon , uscita: 03-05-2018. Budget: $20,000,000. Regista: Andrew Niccol.

Anon | La recensione del film sci-fi di Andrew Niccol

05/05/2018 recensione film di William Maga

Clive Owen e Amanda Seyfried sono i protagonisti di un thriller sci-fi che estremizza l'impiego della realtà aumentata per capire quanta privacy siamo disposti a sacrificare pur di facilitare le nostre vite quotidiane

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Vale la pena di notare che, dall’inizio del 2018, nei cinema italiani sono arrivati solamente due film riconducibili – in qualche modo – alla sci-fi, Downsizing – Vivere alla grande di Alexander Payne e Maze Runner – La rivelazione di Wes Ball, mentre direttamente sul catalogo di Netflix sono finti in quattro mesi The Cloverfield Paradox di Julius Onah, Mute di Duncan Jones, Annientamento di Alex Garland, The Titan di Lennart Ruff e ora anche Anon di Adnrew Niccol (In Time). Una situazione che certo fa riflettere, considerando sia i nomi coinvolti in questi progetti che soprattutto il fatto che solamente la pellicola diretta dal figlio di David Bowie è un prodotto originale del colosso dello streaming, con tutti gli altri pensati in origine per il grande schermo ma poi acquisiti prima che potessero finire effettivamente nelle sale. Il dibattito se questo andazzo sia un bene o un male – come dimostrano anche le recenti dichiarazioni di Elizabeth Olsen – è più che mai vibrante.

Comunque, chiusa questa parentesi introduttiva, il nuovo film di Andrew Niccol mette al centro un elemento interessante e attuale, quello della realtà aumentata (RA) che se per molti finirà col generare cambiamenti positivi per le nostre vite, potrebbe tuttavia rivelarsi anche una tecnologia che eroderà ulteriormente la privacy di ognuno, con conseguenze non proprio idilliache. Naturalmente, ai protagonisti Clive Owen e Amanda Seyfried viene fatto esplorare il ‘lato oscuro’ di questo futuro prossimo, un mondo distopico in cui ogni azione viene costantemente registrate e archiviata, dove è normale trasmettere la propria giornata a chiunque ne faccia richiesta, e in cui provare a mantenere un segreto è considerato un atto di ribellione.

La scena d’apertura del Anon è tutta dal punto di vista del personaggio di Owen, un detective di nome Sal Frieland. Grazie a un impianto collegato a retina e cervello, l’uomo riesce a identificare e conoscere ogni dato sensibile di qualunque individuo gli si pari davanti lungo la strada. I volti (ad eccezione di un “errore sconosciuto”, interpretato dalla Seyfried) sono abbinati al rispettivo nome delle persona inquadrata, con  relativa età e titolo professionale. Lungo i 100′ di durata, Frieland è in grado di utilizzare il suo impianto di RA per vedere la marca e il modello di auto, mentre i luoghi sono annotati grazie ai dettagli delle architetture.

Di fronte a un negozio, modelle virtuali posano mentre i loro abiti digitali cambiano, e in un’altra vetrina un nuovo orologio si può provare sempre virtualmente. Una volta stabilita l’ambientazione futuristica, la trama si accende quando Frieland entra nel suo distretto di polizia, dove è giunto per interrogare alcuni sospettati in un caso di omicidio. Durante ogni faccia a faccia, naviga in tempo reale su un’interfaccia di RA chiamata Ether, un database contenente dei brevi video ricordi. Accede a una sezione top secret di Ether dove può vedere i filmati registrati dal punto di vista della vittima, così come degli eventuali testimoni e risolvere così ogni caso. Già.

Questa RA del futuro registra ogni azione di ciascun cittadino e la polizia è in grado di accedere al grande archivio. La tecnologia può anche essere utilizzata per capire quando si verificano dei crimini violenti, ordinando a distanza a chi li sta perpetrando di arrendersi. Ma cosa succede se questa tecnologia – al momento ancora puramente astratta – potesse essere compromessa? È proprio qui il fulcro thriller mistery di Anon, con Frieland che si ritrova a indagare su una serie di omicidi in cui la visione delle vittime viene hackerata e la registrazione col volto del killer viene cancellata, impedendone l’identificazione.

È un incubo“, come dice giustamente uno dei comprimari. Il personaggio di Amanda Seyfried, una misteriosa hacker inspiegabilmente in grado di modificare e cancellare le registrazioni in RA e intromettersi negli occhi di chi vuole facendogli vedere immagini a suo piacimento, diventa la prima sospettata. La sua capacità di alterare la realtà, come si può immaginare, la rende infatti un avversario formidabile e pericoloso per lo status quo.

Se i primi riferimenti cinematografici che potrebbero venire in mente leggendo questa sinossi sono Minority Report di Steven Spielberg o Strange Days di Kathryn Bigelow (o il videogioco Watch Dogs  della Ubisoft), bisogna ricordare che Netflix ultimamente ha scommesso molto su serie TV e film che parlano di realtà aumentata, basti pensare alla quarta stagione di Black Mirror o ad Altered Carbon (la recensione).

In Anon, la RA è un dispositivo di trama ancora più prominente e sempre presente in quello che altrimenti sarebbe un blandamente usuale mistery crime velato di noir. La cosa interessante, è che molti degli esempi di RA presentati da Andrew Niccol – che è anche sceneggiatore – sono oggi disponibili in termini di applicazioni.

Ad esempio, Blippar offre strumenti per RA per il riconoscimento facciale, l’identificazione automobilistica e per il riconoscimento di punti di riferimento- Allo stesso modo, Google Translate può convertire visivamente sia la lingua scritta che parlata nel linguaggio nativo dell’utente. E abbiamo già avuto tentativi di prove virtuali di gioielli da Swarovski, mentre Zara ha recentemente portato dei modelli in RA nei suoi negozi. Quello che appare sullo schermo non è quindi un futuro così lontano o impossibile. E se pensate che una situazione del genere – per quanto estrema – potrebbe rendere la civiltà completamente libera dal crimine (e incredibilmente paranoica …), non è così, perché noi siamo una specie reazionaria e agiremmo spontaneamente per soddisfare i bisogni più immediati, pur sapendo che potremmo finire arrestati.

Come accennato, tolto l’aspetto fantascientifico – certamente non secondario -, Anon appare come un whodunit convenzionale, senza troppi guizzi o colpi di scena, in cui anche l’azione latita e a farla da padrone sono lunghi dialoghi. I protagonisti si muovono all’interno del mondo asettico e grigio fotografato da Amir Mokric (Transformers), sulle note di una colonna sonora minimalista di Christophe Beck e solo le sporadiche ed estemporanee scene di sesso (anche la Seyfried si mostra generosamente) riescono nel compito di stuzzicare i sensi e distrarre lo spettatore dalla monotonia della storia.

Quello che si/ci domanda Anon è in sostanza quanto della nostra privacy siamo disposti a sacrificare in cambio dei miglioramenti garantiti (ma davvero utili?) dalla realtà aumentata. Già oggi la civiltà occidentale si trova alle prese con tali quesiti, basti vedere l’escalation di App e funzionalità degli smartphone o gli altoparlanti a comando vocale.

La faccenda diventerà ancora più complessa e seria quando prima o poi – e succederà – tutto ciò che diciamo e facciamo verrà registrato e quando la realtà che ci circonda, in termini di ciò che vediamo e ascoltiamo, potrà essere rivisitata con la RA. A quel punto, ci toccherà guardare indietro a questo momento storico e capire cosa è andato storto.

Di seguito il trailer di Anon, a catalogo su Netflix dal 4 maggio: