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Titolo originale: Death Sentence , uscita: 31-08-2007. Budget: $20,000,000. Regista: James Wan.

Recensione story: Death Sentence di James Wan (2007)

05/03/2018 recensione film di Sabrina Crivelli

Kevin Bacon è il sofferente protagonista di un revenge movie nero pece e tecnicamente ispirato, bollato troppo presto di nocivo vigilantismo di serie B

Kevin Bacon in Death Sentence (2007)

Con l’imminente uscita del remake di Il Giustiziere della Notte diretto da Eli Roth (la recensione), si torna a parlare della controversa figura del vendicatore o del vigilante privato, che si sostituisce alla legge e alle ‘inutili’ forze di polizia (se siete interessati ad approfondire il sottogenere leggete il nostro dossier ‘Chi sorveglia i vigilantes?’).

Se il classico del 1974 di Michael Winner, o il suo più disimpegnato remake, si rifacevano però all’omonimo romanzo di Brian Garfield del 1972, Death Sentence di James Wan (2007), che riprende il titolo del secondo libro dell’autore (uscito in Italia come Il Giustiziere della Notte n. 2 tra i Gialli Mondadori anni fa e ormai fuori catalogo da tempo), nella sua messa in scena si avvicina assai più all’idea originaria dello scrittore per il suo Death Wish.

Come nei predecessori, visto l’argomento assai spinoso, la critica si scagliò prevedibilmente in blocco contro il revenge movie del futuro regista di L’evocazione – The Conjuring (tanto che la pellicola fu un flop al botteghino americano e da noi nemmeno uscì nei cinema), eppure, a ben guardarlo senza i soliti pregiudizi, esso si rivela tutt’altro che banale sotto molteplici punti di vista.

Death SentenceAnzitutto, però, c’è la storia. Nick Hume (Kevin Bacon) è il dirigente di una grande società, felicemente sposato con Helen (Kelly Preston) e con due due figli, Brendan (Jordan Garrett) e Lucas (Stuart Lafferty). Tuttavia, la sua esistenza apparentemente perfetta e spensierata stravolta quando, tornando a casa con il suo primogenito dopo una partita di hockey, il ragazzo viene ucciso perché scelto come casuale vittima in un rito di iniziazione dei membri di una gang.

Nick riesce però a strappare il passamontagna e a vedere il volto del ragazzo colpevole e quando poi costui è catturato, l’uomo è prontissimo a testimoniare per spedirlo in galera per omicidio. L’avvocato dell’accusa, tuttavia, gli fa notare invece che la Giuria potrebbe simpatizzare per l’assassino, visto come un giovane sfortunato, e che alla fine si opterebbe per un patteggiamento della pena dai tre ai cinque anni di reclusione.

Reso folle dal dolore e dall’ira, e deluso dal sistema, il padre di famiglia rivede allora la propria versione, dicendo di essersi confuso, e così l’omicida può tornare subito in libertà. L’uomo, sopraffatto dal desiderio di farsi giustizia da solo, segue quindi il ragazzo in un vicolo e lo accoltella, uccidendolo.

Purtroppo per lui, i suoi compagni vengono a saperlo e, decisi a ripagare il sangue col sangue, iniziano una spaventosa vendetta incrociata, che porterà a reiterate ritorsioni, in una delle quali vengono ammazzati Helen e lasciato il secondogenito in fin di vita. Nick, deciso a farla finita una volta per tutte, si procura illegalmente un vero e proprio arsenale grazie a Bones Darley (John Goodman), per andare a stanare i suoi nemici, capeggiati proprio dal figlio, il brutale Billy Darley (Garrett Hedlund).

Tutt’altro che superficiale o pericoloso come venne liquidato dai più (per non dire di peggio), Death Sentence, un po’ come il primo Giustiziere della Notte, segue la parabola discendente di un individuo comune che si tramuta in killer dopo una tragica perdita e aver perso fiducia nelle istituzioni.

Non si tratta però di un (anti)eroe che rende i criminali inoffensivi grazie alla mira infallibile o a una preparazione militare particolare, ma di un uomo ‘normale’ che in qualche modo riesce più volte ad avere la meglio su dei soggetti almeno teoricamente predisposti, e che viene poi – comprensibilmente – colto da profondi rimorsi e attacchi di panico e di paura.

Così, subito dopo aver messo fine alla vita dell’omicida di suo figlio, Nick torna a casa stravolto e ferito, si butta sotto la doccia ed esplode in lacrime e urla. Oppure, in un assalto da parte di tutta la gang, cerca in qualche modo di scappare, evitare gli spari in strada, poi si addentra in una cucina di un ristorante e su per un parcheggio, arrancando, sbattendo contro le macchine, fino a nascondersi ansimante, solo per poi ingaggiare un ulteriore rocambolesco scontro con uno dei suoi inseguitori sopraggiunto. Eccezionale e adeguatissimo è in tal senso il piano sequenza con cui tale lungo e articolatissimo inseguimento viene catturato dall’occhio della macchina da presa di James Wan.

Ottimo a rendere sullo schermo il filo sottile che unisce rancore e pentimento, paura e odio, disperazione e combattività, è Kevin Bacon, che risulta una scelta perfetta per rendere il complessissimo personaggio al centro di Death Sentence. L’attore combina difatti la giusta fisicità per la parte alle capacità mimiche ad esprimere tutto lo spettro di sentimenti che attraversa l’animo dell’uomo che interpreta. Si tratta di un ritratto cupo e sfaccettato, per nulla stereotipato, che crea con lo sventurato padre di famiglia un’innegabile empatia, a prescindere da qualsiasi considerazione morale.

Non siamo davanti a un rampante pistolero che ripulisce le strade col piombo, ma ad una sorta di eroe tragico e tormentato, che sprofonda sempre più nel proprio personale Inferno, da lui stesso cercato. A giusto compimento del lungo percorso di declino sono infatti le ultime sequenze del film, quando si consuma la vendetta finale e potenzialmente suicida di Nick, in risposta alla letale spedizione punitiva contro la sua famiglia.

L’uomo, gravemente ferito, si risveglia in ospedale e dopo un discorso denso di pentimento rivolto al figlio ancora in coma, scappa dalla struttura, va alla ricerca del covo di Billy e della sua banda e si procura diverse armi con l’intento di sterminarli. È il momento più oscuro dell’opera sceneggiata da Ian Mackenzie Jeffers. Ormai è stata del tutto abbandonata ogni remora morale e l’ambientazione sembra rispecchiare quanto avviene interiormente nel protagonista, profondamente cambiato, non solo nell’aspetto. Tutto accade di notte e l’azione è immersa in interni fatiscenti, che perfettamente rispecchiano il cliché estetico del covo di spacciatori nei sobborghi malfamati delle metropoli americane.

Quivi ha luogo un vero e proprio bagno di sangue, una sparatoria che non ha nulla di edulcorato, patinato o epico, ma solo di sporco, brutto e cruento, con un’alternarsi di colpi di fucile a canne mozze e grida (trascurato è perché il protagonista da un momento all’altro riesca a maneggiare così bene le armi da fuoco …). Alla fine, Nick e Billy, ambedue moribondi e pallidi, illuminati da una luce al neon rossastra e straniante, si fissano torvi. Non c’è più redenzione possibile, fatto ancor più rimarcato nella conclusione alternativa e scartata di Death Sentence, in cui Bacon, colpito al collo, muore dissanguato lentamente mentre guarda un video in cui stava festeggiando assieme ai suoi cari.

Pellicola assai più sfaccettata di quanto sbrigativamente scritto all’epoca, Death Sentence non è solo il vacuo inno alla violenza come da tanti accusato, ma una riflessione ben più sfumata sia sulla natura umana e sui suoi lati più oscuri, sia sui limiti, seppur caricati in maniera paradossale, della società post-moderna.

Interessante è in tal senso l’impotenza della polizia, della detective Wallis (Aisha Tyler), che poco può fare, seppur sinceramente dispiaciuta e alterata, quando a un onesto padre di famiglia viene replicato che l’assassino di suo figlio prenderà al massimo cinque anni di galera perché la Giuria potrebbe addirittura simpatizzare per lui.

Certo, si tratta di ipotesi assurde forse, ma l’idea che una vittima perda la testa e diventi carnefice essa stessa non è poi così surreale, soprattutto quando si sente abbandonata e presa in giro dalle autorità che dovrebbero tutelarla.

In ogni caso, per gli spettatori che hanno invece poco interesse per le dinamiche sociologiche o psicologiche, a fornire un valido motivo per la visione sono comunque le indubbie qualità tecniche messe in campo da James Wan, nonché la performance disperata di Kevin Bacon.

Di seguito trovate il trailer ufficiale:

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