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Voto: 5.5/10 Titolo originale: Sotto il vestito niente , uscita: 07-11-1985. Regista: Carlo Vanzina.

Recensione story | Sotto il vestito niente di Carlo Vanzina

26/08/2020 recensione film di William Maga

Nel 1985 Donald Pleasence era il protagonista di un giallo derivativo che portava a galla i sordidi vizi dell'esclusiva 'Milano da bere'

Catherine Noyes in Sotto il vestito niente (1985)

Proposto inizialmente dal produttore Achille Manzotti a Michelangelo Antonioni, lo ottenne invece Carlo Vanzina, reduce dal non proprio clamoroso risultato al botteghino di Mystère nel 1983. Il cambio della guardia non è stato, forse, redditizio, pur se ogni confronto sarebbe rimasto comunque improponibile. Parliamo del libro Sotto il vestito niente che quel non meglio identificato Marco Parma (pseudonimo di Paolo Pietroni) aveva scritto frugando un po’ nella cesta del panni sporchi, come fa realmente Porcellone, personaggio di contorno del film in questione, delle cose pruriginose rinvenibili nel mondo della moda, degli stilisti, delle indossatrici.

E parliamo anche ovviamente della pellicola omonima che nel 1985 approdava sugli schermi italiani con una sceneggiatura scritta a quattro mani dal regista col fratello Enrico Vanzina, in collaborazione con Franco Ferrini.

Sottoilvestitoniente.jpgLa congiunta fatica dei tre ha però preso come base d’avvio soltanto pretestuosamente il libro., ritenuto “bruttissimo” dai Vanzina. Infatti, individuati i luoghi e i modi dell’azione drammatica — una Milano ‘da bere’ lustra, elegante, trasfigurata in un ottimale modello di efficienza e di pulizia — Carlo Vanzina imprime poi al racconto l’incedere tipico del thrilling, oltretutto complicato da ciò che nello stesso film viene detta ‘comunicazione empatica’, cioè quella sorta di telepatia esistente tra due gemelli monoovulari, per cui, quando succede qualcosa di particolarmente grave a uno dei due, anche l’altro fratello, pur se lontano, avverte sintomi e sensazioni subìti, in effetti, ‘dall’altra parte di sé’.

Riprendiamo, dunque, con un po’ d’ordine l’intera storia di Sotto il vestito niente. Bob Crane (Tom Schanley, esordiente al pari di la modella Renée Simonsen e Anna Galiena), guardia forestale nello splendido parco naturale del Wyoming, mentre guarda, rapito, i suoi mondi, le cascate imponenti, boschi e dirupi selvaggi di quel paradiso terrestre, sente all’improvviso che qualcosa di estremamente grave sta per accadere in quel preciso momento a Milano alla giovane sorella gemella Jessica (Nicole Perrin), partita a suo tempo alla volta dell’Italia per divenire colà una apprezzata top-model.

Naturalmente, il buon Bob si allarma e così, su due piedi, decide di partire anch’egli alla volta del capoluogo lombardo. Nel frattempo, veniamo a sapere più o meno comprensibilmente che la giovane indossatrice è stata assassinata a colpi di forbici da uno sconosciuto carnefice. Ed è proprio ciò che il giovane Bob, appena sbarcato all’aeroporto di Malpensa, corre a raccontare al comprensivo commissario Danesi (una caratterizzazione, questa, del bravo Donald Pleasence, che rimane tra le cose migliori del film), benché non possa provare in alcun modo le cose che va dicendo.

Alla lunga, peraltro, l’umanissimo commissario, addottrinatosi opportunamente sulle insospettate potenzialità telepatiche tra gemelli, darà ragione e, quel che più conta, fattivo aiuto a quel ragazzo un po’ troppo sovreccitato piovuto dal Wyoming, fino a scoprire, insieme a costui, tutta una serie di assassinii tra le colleghe indossatrici della scomparsa Jessica. Vengono così sospettati, di volta in volta, un volgarissimo, cinico playboy milanese, alcune altre modelle e, persino, qualche maniaco sessuale del tutto estraneo all’ambiente della moda.

Tom Schanley e Renée Simonsen in Sotto il vestito niente (1985)La pista giusta si rivelerà, di lì a poco, quella fornita dal playboy sotto inchiesta. Questi, tale Giorgio Zanoni (Paolo Tomei), facoltoso gioielliere, cocainomane e protervo donnaiolo (in cui è adombrata la figura reale di quel Francesco D’Alessio ucciso nel 1984 a Milano dalla modella americana Terry Broome), aveva invitato, come faceva spesso, quattro indossatrici per spassarsela senza inibizioni di sorta.

Soltanto che, nel corso della serata, quella che doveva essere una festa anche azzardata si tramuta imprevistamente in tragedia fonda a causa dell’insensata idea dello stesso Zanoni di indurre le giovani ospiti, allettandole con forti somme, a cimentarsi con la micidiale ‘roulette russa’. E, naturalmente, va a finire che una delle ragazze rimane fulminata da un colpo di revolver alla tempia.

Si innesca, a questo punto di Sotto il vestito niente, tutta un’altra fittissima sequenza di fatti e di misfatti, fino a dirottare il thrilling verso la soluzione, all’apparenza, meno prevedibile e, in effetti, invece, già intuibile per frequenti, inequivocabili segnali già a metà film. E proprio in quest’ultimo scorcio si avvertono nel film di Carlo Vanzina tanti ammicchi, tanti rimandi sia alle horror stories di Brian De Palma (in particolare il quasi coevo Omicidio a luci rosse – che vantava peraltro le musiche di Pino Donaggio, presente anche qui -, di Fury e di Vestito per uccidere) e del miglior Dario Argento (Quattro mosche di velluto grigio, citato apertamente in chiusura), sia al cult sentimentalissimi come Casablanca, col classico duo amoroso Humphrey Bogart / Ingrid Bergman.

Sotto il vestito niente (1985)In conclusione, al di là del polverone provocato ad arte dai press-agent (specialmente Enrico Lucherini) sull’ostentata assenza dei maggiori stilisti milanesi dentro e fuori del film (fatta eccezione per la prolungata, azzeccata sequenza della sfilata di modelli di Franco Moschino alla Stazione Centrale), terrorizzati dall’accostamento dell’alta moda a un mondo sordido e violento, Sotto il vestito niente finisce per essere, considerati i fortunati precedenti ‘giovanilistici’ di Carlo Vanzina (da Sapore di mare a Vacanze in America), non tanto un’opera particolarmente riuscita, quanto piuttosto un’impresa più che astuta, condotta in porto tenendo ben presente un possibile mercato cosmopolita, specie anglosassone (dove uscì col titolo Nothing Underneath).

Significativo al riguardo è proprio quell’epilogo al ralenti che, con un abusato espediente tecnico, cerca in qualche modo di annebbiare, di impreziosire l’esito più che convenzionale del film: i cattivi muoiono e i buoni si danno pace. Un azzardo che pagò bene, visti gli incassi finali sul fronte interno ed estero. Rivedere Sotto il vestito niente oggi, se rivalutarlo in toto è certo azzardato, almeno offre uno spaccato di un’epoca edonistica in qualche modo ‘mitica’ per l’Italia e per Milano in particolare, che non sarebbe più ritornata su quei livelli almeno,

Di seguito lo spot di Sotto il vestito niente: