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Voto: 7/10 Titolo originale: Diary of the Dead , uscita: 26-05-2007. Budget: $2,000,000. Regista: George A. Romero.

Riflessione | Diary of the dead di George A. Romero: cronache da un mondo in rovina

27/04/2020 recensione film di William Maga

Nel 2007, il regista portava nei cinema il quinto capitolo della saga dei morti viventi, feroce e desolante critica alla società dell'immagine perfettamente autoconsapevole

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Sviluppatasi per mezzo secolo e cinque film fino a quel momento (sarebbero diventati sei un paio di anni dopo con Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti), la saga ‘dei morti viventi’ firmata da George A. Romero può ragionevolmente essere etichettata come la serie più ambiziosa di un singolo autore nella storia del cinema horror. A partire dall’uscita di La notte dei morti viventi nel 1968, questa sequenza è legata ai suoi vari usi del dilagare della piaga degli zombi nel mondo come veicolo per una ficcante critica sociopolitica.

Night of the living dead aveva trovato come ispirazione il romanzo di Richard Matheson Io sono leggenda del 1954, un racconto fanta-horror che colloca il suo protagonista isolato in un mondo post apocalittico abitato da esseri umani trasformati in vampiri; sicuramente, il testo dello scrittore americano propone un’idea iniziale per la figura dello zombie contemporaneo, e il film di George A. Romero consolida questo concetto sostituendo le creature delle pagine con cadaveri rianimati. Prima di La notte dei morti viventi, i non morti del cinema del terrore si allineavano più direttamente con un’origine attribuibile al ritualismo vudù caraibico. Consideriamo, ad esempio, i classici L’isola degli zombiee (1932) di Victor Halperin e Ho camminato con un zombi (1943) di Jacques Tourneur, un modello che Wes Craven rivisitò in seguito nel suo Il serpente e l’arcobaleno (1988).

diary of the dead - le cronache dei morti viventi posterLa notorietà dal seminale La notte dei morti viventi non deriva soltanto dall’aver aiutato a sviluppare e (ri)lanciare il genere; piuttosto, rappresenta un risultato tentacolare per il cinema indipendente, un esempio di splendida fotografia in bianco e nero, uno sviluppo calcolato della tensione e intuizioni sull’angoscia dello zeitgeist contemporaneo, in particolare le battaglie per i diritti civili e le veementi proteste per la guerra del Vietnam.

L’intuizione politica di George A. Romero veniva quindi portata avanti prima con Zombi (1978), una satira sul consumismo dilagante allora fiorente, poi con Il giorno degli zombi (1985), un’acuta riflessione sul militarismo e l’etica scientifica e la valutazione, quindi nel 2005 con La terra dei morti viventi, una valutazione pre movimento Occupy sulle ridicole sproporzioni della ricchezza nel tardo capitalismo.

Arriviamo così nel 2007 a Diary of the dead – Le cronache dei morti viventi, un film profondamente politico come i suoi predecessori, ma caratterizzato da un’autocoscienza formale pronuciata in modo unico. Dopo che La terra dei morti viventi era stato sviluppo sotto l’egida di uno studio importante, la Universal Pictures (circa 18 milioni di dollari di budget per oltre 45 di incasso), George A. Romero ritorna alle difficili condizioni di micro-finanziamento (circa 2 milioni di dollari) di inizio carriera.

In un certo senso, questa scelta – più o meno obbligata – riporta alla mente l’attenzione tematica e alla sensibilità low cost perseguita con ampio successo di pubblico da un paio di titoli capaci di scuotere profondamente il genere horror sul finire degli anni ’90: Scream di Wes Craven e The Blair Witch Project di Eduardo Sánchez e Daniel Myrick. Infatti, George A. Romero attinge dal primo per l’autocritica postmoderna al genere e dal secondo l’estetica soggettiva del ‘found footage’.

Vale la pena notare anche che il 2007 vide una ripresa generale del sottogenere ‘found-footage’, rafforzato ad alta voce dalla premiere di Paranormal Activity, così come dallo spagnolo [REC]. Tuttavia, come esempio di rigorosa autovalutazione e di impegno a confrontarsi con la tecnologia contemporanea, Diary of the dead – Le cronache dei morti viventi si distingue piuttosto nettamente. Il film di George A. Romero è un cinema di genere lungimirante, al contrario di un’opera di semplice ‘reazione’ (Paranormal Activity ricicla principalmente il modello di Blair Witch) o omaggio ([REC] evoca apertamente i primi lavori dell’autore in questione).

diary of the dead cronache film george romeroIn effetti, una descrizione accurata di Diary of the dead – Le cronache dei morti viventi è meno “found footage” e più “finto documentario“. La voce fuori campo afferma che è stato montato da Debra (Michelle Morgan) da varie fonti, tra cui filmati girati dal suo ragazzo, Jason (Joshua Close). Il “documentario” include anche la copertura di alcune telecamere di sorveglianza, insieme a video aggiuntivi dei compagni di classe della scuola di cinema dei due protagonisti.

George A. Romero richiama regolarmente l’attenzione sulla finzione del suo film. La narrazione iniziale di Debra mette a nudo i metodi di produzione del suo lavoro: “Il film è stato girato con una Panasonic HDX-900 e una HBX-200. Ho eseguito il montaggio finale sul portatile di Jason. Ho aggiunto occasionalmente delle muscihe per gli effetti, sperando di spaventarvi. ”

Poco dopo questa ammissione riflessiva, Diary of the dead – Le cronache dei morti viventi vede Jason guidare la produzione di un film horror a tema ‘mummia’; in vero stile post-Scream, la scena incorpora le incisive critiche a un sessismo generico da parte di Tracy (Amy Lalonde): “Qualcuno può spiegarmi perché le ragazze nei film dell’orrore devono sempre, che ne so, cadere, perdere una scarpa o cazzate così?”, domanda esasperata. “È una cosa totalmente patetica. E perché i nostri vestiti finiscono sempre strappati?”. George A. Romero spinge oltre questa auto consapevolezza quando una scena clou rispecchia la divertente scena d’apertura: adesso, il ragazzo in costume da mummia che insegue Tracy vuole davvero farle del male, e lei si disfa volontariamente delle scarpe prima che il suo vestito venga strappato.

Ciò che fa risuonare Diary of the dead – Le cronache dei morti viventi non è semplicemente la consapevolezza di essere un ‘finto documentario’, ma un attento e profondo esame di se stesso come oggetto cinematografico. Conduce anche uno studio veramente complesso sul sovraccarico di informazioni nell’era della tecnologia digitale. L’esperto George A. Romero piega il montaggio e la composizione abilmente, attribuendo un background ai suoi soggetti.

Nel fornire queste informazioni sui personaggi, il regista giustifica anche l’incorporazione di inserti altamente stilizzati, che consistono in filmati e narrazioni sovrapposte di telegiornali accanto al commento fortemente politico di Debra. L’autoconsapevolezza formale si manifesta in modo ancora più potente enfatizzando le singole immagini: più scene trovano infatti soggetti che si filmano a vicenda su telecamere portatili, in modo che il pubblico si guardi mentre guarda.

diary of the dead cronache filmGeorge A. Romero, fortemente critico sulla fallibilità dei media digitali, enfatizza queste immagini con una ripresa sorprendente, in cui la telecamera viene puntata in modo simile nella canna di un fucile di un membro della Guardia Nazionale.

Questa esplicita metafora visiva riguarda la domanda del film circa l’eventuale merito (o demerito) del voler documentare la violenza – “Ci saranno sempre persone come te”, dice il professore cinematografico Andrew Maxwell a Jason, “che vogliono documentare, vogliono registrare una sorta di diario “.

Sì, George A. Romero è ben consapevole del doppio significato della parola ‘shot’ in inglese (sia ‘ripresa’ che ‘sparo’) che accompagna la registrazione di immagini brutali e rende palese la sua auto-critica. Sembra che il regista non abbia interesse ad andare per il sottile, posizionandosi invece nel territorio dello scontro frontale. Diary of the dead – Le cronache dei morti viventi è un’opera di inevitabili conflitti, reso ancor più indelebile dalle sue immagini orribili. Un episodio particolarmente angosciante vede Debra ritornare nella sua casa in periferia, trovandovi la madre non morta che si ‘diletta’ a cibarsi della carne di suo padre, prima di essere attaccata dal suo fratellino.

Il paradossalmente “sofisticato” e “selvaggio” Maxwell fa fuori il ragazzo usando un arco e una freccia. In effetti, essendo il personaggio anziano principale del film, Maxwell potrebbe essere il tipico protagonista dei film di George A. Romero: erudito, pessimista e ironicamente sarcastico, agisce come un guardiano e un sorvegliante amorevolmente cinico del coming-of-age dei giovani. Una scena ci mostra Maxwell trovare una prima edizione di Racconto di due città di Charles Dickens e citarne senza un passo apparente senza ironia: “Era il migliore di tutti i tempi, era il peggiore di tutti i tempi“.

Per aver trovato la sua visione rinnovata dalla tecnologia digitale, George A. Romero avrebbe potuto ammettere che, in un certo senso, quello del 2007 fosse “il migliore di tutti i tempi”.  Tuttavia, offrendo al suo pubblico forse la sua visione del mondo più desolante fino a quel punto, con un ultimo dialogo che ci chiede se “Meritiamo di salvarci?“, potrebbe essere altrettanto credibile nel dire che quello fosse “il peggiore dei tempi”. Oltre un decennio dopo, forse è diventato faticoso ostinarsi sulla tremenda situazione politica del nostro mondo, ma chissà, se fosse ancora tra noi oggi, cosa potrebbe raccontarci del presente il glorioso filmmaker nato nel Bronx nel 1940.

Di seguito il trailer internazionale di Diary of the dead – Le cronache dei morti viventi: