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Voto: 8/10 Titolo originale: Interview with the Vampire , uscita: 11-11-1994. Budget: $60,000,000. Regista: Neil Jordan.

Riflessione | Intervista col vampiro di Neil Jordan: lo specchio deformante delle angosce degli anni’90

17/11/2020 recensione film di William Maga

Nel 1994, Brad Pitt, Tom Cruise e Kirsten Dunst erano i protagonisti della dolente trasposizione del romanzo di Anne Rice

intervista col vampiro film cruise pitt

Uscito nei cinema nel 1994, Intervista col vampiro (Interview with the Vampire: The Vampire Chronicles) è un film molto serio, qua e là ironico, in qualche momento lievemente ridicolo. È sicuramente ironica la battuta della vampirella Claudia (Kirsten Dunst), quando lei e il suo «mentore» Louis de Pointe du Lac (Brad Pitt) arrivano al Théatre des Vampires di Parigi, dove è in corso una rappresentazione ad uso e consumo degli umani. «Vampiri che fingono di essere uomini che fingono di essere vampiri – sospira lui – è pazzesco». «Molto avant-garde» risponde lei: che è una non-morta dal corpo di bambina e dalla mente di donna, il paradosso ultimo creato dalla penna della scrittrice Anne Rice e ricreato dal regista Neil Jordan nel suo sanguinolento e all’epoca attesissimo lavoro, costato 60 milioni di dollari.

Intervistacolvampiro.jpgMa è davvero avant-garde, il film di Neil Jordan? In un certo senso, si. È un’esplorazione ai confini dei generi, dove le convenzioni hollywoodiane dell’horror vengono piegate a una riflessione su esseri che sono, sempre, qualcosa di diverso da ciò che appaiono.

È l’ambiguità – dei sessi, dei ruoli, della vita – che interessa al regista, questa curiosa figura di romanziere irlandese convertito al cinema spettacolare. Fin dai tempi di Mona Lisa e In Compagnia dei lupi, passando per La moglie del soldato, Neil Jordan fa un cinema mutante, la cui costante stilistica è la metamorfosi.

È quindi facile ipotizzare cosa l’abbia colpito maggiormente nel best-seller di Anne Rice: lo spostamento di senso fra Europa e America, all’interno del mondo vampiresco. Nel libro e ancora più nei film, i vampiri americani simboleggiano il tormento e l’autocoscienza, mentre i cugini europei si adagiano in una morbosa accettazione della propria condizione di non-morti, di assassini nati.

Il giovane possidente terriero Louis viene reso vampiro dal «bello e dannato» Lestat de Lioncourt (Tom Cruise), chiaramente attratto da lui. Anche quando ai due si aggiunge la bimba-vampira Claudia, Louis rimane un mostro tormentato e infelice, per niente convinto della «bellezza» dell’immortalità, e angosciato dal fatto di dover uccidere ogni notte per sopravvivere. Lestat, invece, è la Bestia, il gaudente che azzanna con gusto e voluttà, e che incita Louis a godersela: «Sii quel che sei, segui l’istinto».

Ma l’istinto di Louis e di Claudia punta altrove, verso l’Europa. Ucciso (almeno cosi credono) Lestat, i due arrivano a Parigi, alla ricerca delle radici (nel romanzo c’è una lunga parentesi in Transilvania, dove la coppia trova solo vampiri abbrutiti, ridotti allo stato di belve). Ma nella capitale francese di fine ‘800, in un luogo barocco e catacombale chiamato – appunto – «Théatre des Vampires», Louis e Claudia trovano una sorta di setta esoterica, in cui il dolore eterno della «vampirità» è trasformato in farsa, in caricatura di se stesso, in uno stanco e perpetuo rituale. Solo Armand (Antonio Banderas), sexy e tenebroso, sembra capire i tormenti di Louis. Ma per gli «americani» non c’è scampo, perché nella ristretta comunità tutti sanno che hanno assassinato Lestat, e per il vampiro che uccide il vampiro c’è una sola condanna: la morte, o tramite esposizione al sole, o per sepoltura perenne in bare inchiodate.

Inutile dire come va a finire Intervista col vampiro: lo spettatore lo sa già, fin dalla prima inquadratura, dal momento che è Louis a raccontare la storia a un giornalista troppo curioso (Christian Slater), e destinato a una fine bizzarra. Ma ciò che non va dimenticato, è che Anne Rice mescola la riflessione sul rapporto Europa / America («Parigi, la madre di New Orleans …») e sul cinico destino degli immortali a una componente fortemente erotica, e spesso omoerotica, che il film di Neil Jordan mantiene solo in parte.

intervista col vampiro film kirstenCi sono allusioni «forti», in Intervista col vampiro: soprattutto nei personaggi di Lestat e di Armand, che appaiono – in fasi diverse – come lo specchio spudorato e liberatorio in cui Louis può osservare le proprie pulsioni represse; e naturalmente nel terribile desiderio di Claudia, condannata a vivere, donna dalla memoria centenaria, in un corpo da bambina. La scena in cui Lestat «crea» Louis, attraverso emo scambio, ha tutte le caratteristiche e i rantoli di un coito, ma in generale Neil Jordan sembra volersi trattenere, sia sul piano sessuale che su quello degli effetti speciali, meno mirabolanti di quanto ci si potesse attendere.

Proprio in questo aspetto rimane inferiore al Dracula di Francis Ford Coppola (la recensione), dal quale tra l’altro riprende, in una sequenza assai bella, la similitudine tra vampirismo e cinema. La verità, è che Intervista col vampiro è nel complesso un’opera dolente, crepuscolare, un lamento in chiave horror sulla solitudine dei diversi. In cui il genere viene piegato, espanso, per assorbire le suggestioni più diverse: dall’AIDS ai serial killer, per finire con il rock’n’roll dei Guns’n’Roses, che cantano Simpathy tor the Devil, storico brano «diabolico» dei Rolling Stones. Insomma, un grande specchio deformante per le angosce degli anni’90.

Di seguito una scena clou di Intervista col vampiro: