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Voto: 6/10 Titolo originale: Son , uscita: 18-03-2021. Regista: Ivan Kavanagh.

Son | La recensione del film horror di Ivan Kavanagh (BIFFF 2021)

28/04/2021 recensione film di Sabrina Crivelli

Andi Matichak è la madre dell'Anticristo (o forse no ...) in un'opera in cui i contro sono molto più dei pro

son film horror 2021

Cosa significa essere la madre dell’Anticristo – o di un qualche ibrido tra mortale e demoniaco? È l’inquietante ipotesi che più di una volta ha dominato un film horror. Tra i molti titoli, era il fulcro dei sinistri presagi di Rosemary Woodhouse (Mia Farrow) in Rosemary’s Baby (Roman Polański, 1968), mentre gradualmente scopriva i segreti dietro alla sua gravidanza e alla setta che a sua insaputa ne aveva determinato l’origine. Oppure, spiegava l’aura soprannaturale e il susseguirsi di eventi tragici e inspiegabili attorno a Damien, protagonista della trilogia di Il Presagio (The Omen, Richard Donner 1976).

Su questa scia, Son dell’irlandese Ivan Kavanagh (che nel 2015 aveva diretto The Canal) ci riconduce ora in quei territori oscuri, tra riti occulti e proseliti di messe nere, ma con minor arte – almeno per ciò che riguarda la costruzione della tensione – e più smaccata messa in scena di sangue e budella.

Son.jpgCome detto, la sceneggiatura di Son (anch’essa ad opera di Ivan Kavanagh) si basa su ingredienti già più volte esplorati. Dopo una scena d’apertura sibillina (che cattura una giovane incinta, sporca di terra, palesemente sconvolta e probabilmente in fuga, la quale partorisce un neonato in macchina), il film si sofferma su Laura (Andi Matichak), sorridente maestra e madre single di David (Luke David Blumm). I due conducono un’esistenza ordinaria in una cittadina della provincia americana. La scuola, il lavoro, l’amichevole vicina… Eppure, tutto sta per cambiare. Dopo una misteriosa invasione domestica (ma senza alcuna effrazione), di colpo il ragazzino inizia a stare male. Febbricitante, respira a malapena, la pelle è lacerata da piaghe profonde e perde sangue da ogni orifizio.

Cosa avrà e, più importante, quale potrà essere la cura? I medici brancolano nel buio, forse perché non è nella medicina moderna, ma nel passato di Laura e di suo figlio, nello stesso concepimento di lui in circostanze decisamente fuori dal normale (e piuttosto inquietanti), che si cela la soluzione all’oscuro male.

Percorso a ritroso in parte onirico, in parte fisico, Son ripropone tra alti e bassi una suggestiva commistione di atmosfere, stereotipi ed immagini proprie del satanismo e del repertorio demoniaco cinematografico. Gli incubi confusi, gli affiliati in cerchio che tormentano i sonni di Laura, il rimosso traumatico e le dolorose ri-scoperte di un passato celato in un angolo oscuro della mente di lei sulla carta sono tutti i perfetti ingredienti di una proficua descensus ad inferos, interiore e non solo. Ancora una volta, Ivan Kavanagh ricorre ad amnesie e intrichi narrativi per la sua ricostruzione a ritroso alla Memento (Christopher Nolan, 2001), probabilmente una sua fissazione visto che sono il fulcro sia Son che il suo precedente The Canal.

Poi c’è l’archetipo del viaggio. Vana ricerca di sé solo per perdersi in un mistero incombente e minaccioso, guardando l’incedere senza dei protagonisti di Son viene quasi in mente il britannico Kill List (Ben Wheatley, 2011), analogia rafforzata dalla la presenza sfuggente, ma costante della setta (nei sogni, nella realtà e, soprattutto, nei piccoli dettagli). Tuttavia, al contrario del suo predecessore di una decade addietro, l’horror di i Ivan Kavanagh non delinea in maniera altrettanto suggestiva e i membri dell’oscuro culto e i personaggi di contorno. Al contrario, in Son sono mere e ripetitive materializzazioni di figuranti appena abbozzati, giusto per dare un tocco di cupezza all’insieme. Si aggiungono le forze dell’ordine.

In particolare l’imbolsito agente Paul (Emile Hirsch) il quale – come si conviene – intrattiene relazioni ambigue con la tradizionale donzella in pericolo, e un po’ psicopatica che, almeno all’apparenza, si figura aggressori immaginari  ad attentare la vita del figlio…- . Tuttavia, si tratta di un’altra macchietta mal caratterizzata che contribuisce alla parata di spettri inconsistenti.

Se le premesse di Son avrebbero potuto, quindi, apparire promettenti sulla carta, la loro realizzazione tradisce più di una aspettativa. Anzitutto, c’è un problema di coerenza nello sviluppo. La narrazione singhiozza qua e là, tra apparizioni fantasmatiche che invadono le mura di casa, freddi ospedali o frenetici road trip – o meglio fughe- in motel con spacciatori violenti, o all’inseguimento di vecchie conoscenze derelitte da un passato ormai dimenticato.

son film horror Ivan Kavanagh 2021Tuttavia, qualcosa manca in termini di fluidità e di costruzione della suspense in un collage di scenette più o meno a effetto. Tuttavia, anche se funzionanti prese singolarmente, stridono o risultano sconnesse nell’insieme, quasi mancasse la giusta congiunzione a tenerci incollati alla sedia, o il – volontario – ‘non detto’ invece di trasmetterci la giusta dose d’angoscia e horror vacui, ci privasse di empatia.

Lo stesso rapporto madre-figlio manca di quella giusta intensità che motivi certe azioni estreme di lei. Il senso di colpa, lo shock e il dilemma interiore di Laura, così come la trasformazione, la metamorfosi di David, sono solo sfiorate, e comunque rappresentate troppo sottotono per creare i giusti presupposti ai loro esiti scioccanti. Forse, è scontato pensare che un genitore faccia qualsiasi cosa per la propria prole, sebbene essa sia nefasta, luciferina o mostruosa, eppure la Laura di Andi Matichak si appresta e assiste con fin troppa nonchalance, tra un gridolino isterico e una rassegnata condiscendenza, alle peggiori nefandezze filiali.

C’è da riconoscere, altresì, che le cruente gesta di un ingenuo e insieme feroce David ci proiettano in qualche felice e scabroso momento nella voracità antropofaga di Cannibal love – Mangiata viva (Trouble Every Day, Claire Denis 2001, la recensione) e nel cupo dramma soprannaturale nato da infantile e distruttiva ferinità di Lasciami entrare (Låt den rätte komma, Tomas Alfredson 2009) o My Heart Can’t Beat Unless You Tell It To (Jonathan Cuartas 2020, la nostra recensione da Sitges 53). Frammenti di brutali banchetti, ci regalano un paio di parentesi succose quanto truci, in particolare quella ambientata nella stanza e nel bagno dell’hotel di infimo ordine dove madre e figlio si fermano a pernottare.

Per il resto, non si può che concludere che Ivan Kavanagh coltivi molto meglio il body horror – benché fin troppo accada fuori campo – rispetto all’orrore psicologico o soprannaturale, aspetto un po’ deludente, dacché in The Canal il connubio tra arcani indizi, sinistre presenze e percezioni distorte era ben curato ed evocava alla perfezione un terrore latente radicato in un recente lutto. Non resta che aspettarlo al varco col prossimo lavoro.

Il trailer internazionale di Son: