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Voto: 5/10 Titolo originale: Aladdin , uscita: 22-05-2019. Budget: $183,000,000. Regista: Guy Ritchie.

Aladdin: la recensione del film di Guy Ritchie (quando Bollywood incontra la sceneggiata napoletana)

22/05/2019 recensione film di William Maga

La versione in carne e CGI del classico animato del 1992 costruisce un mondo orientaleggiante stereotipato e solo vagamente immaginifico, con Will Smith nei panni di un Genio poco istrionico

aladdin film guy ritchie will smith 2019

L’auto-impostosi dovere da parte della Disney di distribuire a getto costante rifacimenti in live action di tutti i suoi gloriosi film d’animazione del passato continua a dimostrarsi – per lo più – un mero esercizio in inutilità e frustrazione anche con il secondo degli aggiornamenti in carne e ossa legati alla sua ‘fase del rinascimento’ degli anni ’90 (senza dimenticare naturalmente l’altrettanto insoddisfacente Dumbo di Tim Burton, arrivato nei cinema nemmeno due mesi fa),

aladdin film 2019 posterLa tentazione di copiare e incollare qui la recensione di La Bella e La Bestia di Bill Condon del 2017 è infatti forte, perché questa nuova versione di Aladdin soffre dei medesimi problemi: è in sostanza un pastiche annacquato di se stesso, la controparte cinematografica di quando la spumeggiante canzone di un musical viene deliberatamente appiattita e prosciugata di ogni personalità per essere inserita sui titoli di coda in vista della scalata alle classifiche pop.

Come già si intuiva dai trailer, il film sembra esser stato girato all’interno di uno di quei parchi a tema della Disney sparsi in giro per il mondo (alla Pirati dei Caraibi per capirsi), con la fittizia Agrabah perfetto ricettacolo di tutti gli stereotipi occidentali su come dovrebbe apparire una tipica città del Medio Oriente mitico. Tutto bene, considerato che l’aspetto complessivo diventa così ancora più cartoonesco, ma l’esotismo di una simile ambientazione, se può diventare passabile per un bambino, di certo dovrebbe far riflettere i più grandicelli sul modo in cui vengono raffigurate nel 2019 culture lontane da quella americana.

Non preoccupatevi comunque: la sceneggiatura è completamente stata sanificata anche dal più indiretto riferimento all’Islam prima riscontrabile, anche se uno dei cambiamenti più significati impartiti riguarda l’inserimento della ‘doverosa’ sottotrama pseudo femminista per Jasmine, sfortunata ragazza nata in un mondo dominato da millenni dagli uomini.

Come anticipato, proprio come nell’adattamento con Emma Watson di un paio di anni fa, all’Aladdin 2019 inevitabilmente – e prevedibilmente – mancano la verve e la magia della versione animata originale. Una carenza certo non aiutata dalla scelta di affidare la regia del lungometraggio all’inglese Guy Ritchie, la cui filmografia zeppa di criminali dal linguaggio sboccato infilati in situazioni spesso grottesche non si presta esattamente a un’opera per famiglie dove tutti cantano amorevolmente e ‘violenza’ è una parola assente dai vocabolari. E così, già reduce dal poco apprezzato King Arthur: Il Potere della Spada del 2017, il filmmaker di Hatfiel non ci prova nemmeno a imprimere il suo marchio al prodotto finale.

Marwan Kenzari e Mena Massoud in Aladdin (2019)Il regista sembra infatti esitante – o incapace – ad abbracciare e ricreare sul grande schermo l’aria da sogno che dovrebbe possedere un musical (perché di quello stiamo in fondo parlando). Il risultato dovrebbe apparire meno ‘costruito’, incerto o ridicolo, con diversi momenti che sfociano nel – dichiarato – rimando alle coreografie di Bollywood o nella – non dichiarata – sceneggiata napoletana da TV locale, a testimonianza della scarsa originalità.

I personaggi qui si rendono protagonisti di pomposi intermezzi cantati a intervalli che sembrano del tutto casuali o forzati; non assistiamo a un flusso organico, melodico, e questi numeri musicali sembrano intenzionati a schiacciare le emozioni sottostanti ai testi piuttosto che dar loro voce.

È come se Aladdin accettasse con riluttanza di dover essere sostanzialmente un musical per il cinema. E – esattamente come nel recente Il Ritorno di Mary Popppinsil doppiaggio italiano infligge un colpo di grazia letale. La sfarzosa parata per le strade della capitale sulle note di ‘Principe Ali’, potrebbe benissimo esser stata girata in un giorno qualsiasi in un giorno qualsiasi a Disney World; è stanca e meccanica, per nulla esaltante. La nuova canzone, infilata a forza e pensata per una possibile nomination ai prossimi Oscar, sfigura non poco accanto ai pezzi del 1992 di Alan Menken, Howard Ashman e Tim Rice.

La storia è grossomodo quella che tutti conosciamo, con lo straccione / teppista di strada Aladdin (Mena Massoud), che passa le sue giornate a bighellonare e commettere piccoli furti in compagnia della fidata scimmietta Abu, che si ritrova innamorato della principessa Jasmine (Naomi Scott), la figlia del sultano (Navid Negahban) della città-stato di Agrabah.

Dopo aver aiutato il subdolo gran visir Jafar (Marwan Kenzari), si ritrova casualmente sotto i piedi un tappeto volante e tra le mani una favolosa lampada, dalla quale scaturisce un Genio in grado di esaudire ben tre desideri (Will Smith), al quale chiederà aiuto per riuscire nell’impresa impossibile di sposare la ragazza. La strada verso il successo sarà però tutta in salita, tra intrighi, ripensamenti e crisi di coscienza.

Naomi Scott in Aladdin (2019)La nuova sceneggiatura, scritta a quattro mani da Guy Ritchie e John August (Frankenweenie, Dark Shadows) riesce nel non semplice compito di portare la durata complessiva a oltre 2 ore complessive, senza tuttavia che i 40 minuti extra rispetto al film animato originale apportino qualcosa di davvero sostanziale al racconto (giusto prologo forse …).

Fatto sta che – per pura coincidenza – passano giusto 40 minuti prima che faccia il suo ingresso sulle scene il chiacchieratissimo Genio, vero punto di forza di Aladdin nel 1992, grazie alle performance vocale istrioniche di Robin Williams e del nostro Gigi Proietti (qui relegato invece a doppiare il Sultano).

Will Smith ce la mette tutta col suo limitato set di espressioni e la simpatia da ex Principe di Bel Air, ma la sua performance non è lontanamente comparabile a quella brillantissima del predecessore (stesso discorso per il doppiaggio italiano). La versione in carne e CGI (più o meno apprezzabile, visti i milioni di dollari spesi) finisce per ricordare quella del Jim Carrey di The Mask nei momenti migliori, e il Kazaam di Shaquille O’Neal in quelli peggiori. E non aiuta – proprio come nel citato La Bella e La Bestia – che spesso i suoi interlocutori abbiano lo sguardo rivolto verso direzioni totalmente sbagliate rispetto a quelle in cui dovrebbe trovarsi la gigantesca e/o svolazzante creatura blu.

In definitiva, nonostante la chimica minima tra i due protagonisti e la mancanza di mordente da parte di Jafar (e del suo pappagallo servitore Iago), Aladdin prova a costruire un mondo orientaleggiante completamente nuovo, forse affascinante per qualcuno, ma troppo poco immaginifico per gli altri, finendo per risultare soltanto l’ennesimo sterile live action mai all’altezza degli irraggiungibili capolavori animati.

Di seguito il trailer in versione italiana di Aladdin, che sarà nei nostri cinema dal 22 maggio: