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Voto: 6.5/10 Titolo originale: Becky , uscita: 23-07-2020. Regista: Jonathan Milott.

Becky: la recensione del film di Milott e Murnion con Lulu Wilson

08/06/2020 recensione film di William Maga

Kevin James si trasforma in cattivo per un insolito home invasion R-Rated che gioca col sottogenere, in un 'esperimento' destinato a spaccare il pubblico

becky film 2020

Ancora scossa dalla morte di sua madre, Rebecca (Lulu Wilson), un’adolescente insolitamente cupa e arrabbiata, si prepara a trascorrere un weekend nella casa sul lago di famiglia con suo padre Jeff (Joel McHale) e due cani, Diego e Dora. Jeff ha dei progetti speciali; è pronto a presentare la ragazzina la sua nuova fidanzata, Kayla (Amanda Brugel) e suo figlio Ty (Isaiah Rockcliffe). Sorprendendo tutti, una banda di neonazisti capeggiata da Dominick (Kevin James) assalta l’abitazione e comincia a terrorizzare i presenti, alla ricerca di una chiave misteriosa.

Nonostante il loro accurato piano, Dominick e i suoi scagnozzi non hanno fatto i conti proprio con Becky. “Becky! Sei chiaramente una ragazza speciale “, esclama l’uomo nel trailer del film. Armata di una serie di strumenti saccheggiati dal suo ‘fortino’ d’infanzia (matite colorate, un righello, filo metallico e scarti di legno fanno tutti una comparsata), Becky non ha infatti alcuna intenzione di arrendersi ai balordi così facilmente. Quando suo padre viene ferito, la storia prende così una svolta scioccante e sanguinosa.

Diretto a quattro mani da Cary Murnion e Jonathan Milott (Bushwick), Becky mescola abilmente stereotipi che potrebbero ricordare agli spettatori alcuni classici per famiglie come Peter Pan, Il Signore delle Mosche e Mamma, ho perso l’aereo, in un unico caotico insieme di ossa spezzate e lacerazioni zampillanti che farà la gioia dei segugi del gore e delle torture (non ha caso si è preso è Rated R). L’impatto complessivo, tuttavia, vacilla, soprattutto a causa di alcune aspettative insoddisfatte che coinvolgono le ‘regole base’ della vicenda. Proviamo a capire il perché.

Becky.jpgIl film appartenenti al genere home invasion hanno una storia lunga e interessante. Nel 1909, il regista D.W. Griffith girò The Lonely Villa, un cortometraggio di otto minuti in cui dei criminali irrompono in una casa abitata da una donna e dai suoi tre figli mentre il marito è via. Donne e bambini sono ritratti come indifesi, mentre gli uomini come coraggiosi soccorritori e la legge e l’ordine risolvono infine la situazione. Il filone ha seguito questa tradizione fino a La Fontana della Vergine di Ingmar Bergman (1960), che ambiò le regole del gioco mettendo sul piatto una ‘reazione inaspettata’ delle vittime. Dopo che sua figlia è stata violentata e assassinata, Tore (uno dei ruoli più memorabili di Max von Sydow), si vendica infatti uccidendo brutalmente le tre persone responsabili della sua morte. È un uomo solitario, e non la legge, a imporre la propria giustizia.

Tra i titoli più noti abbiamo avuto quindi il recente Mandy di Panos Cosmatos (la recensione), Cape Fear di Martin Scorsese (1991), Gli Occhi nella Notte di Terence Young (1967), L’ultima Casa a Sinistra di Wes Craven (1972), L’ultimo treno della notte di Aldo Lado (1975) e Non Violentate Jennifer di Meir Zarchi (1978). Gli ultimi quattro hanno anche sconfinato nel rape & revenge, sottogenere in cui le donne – sottoposte a violenza sessuale – diventano ‘angeli della vendetta’ in prima persona. In ogni caso, in tutte queste storie di home invasion il mondo è dipinto come privo della minima sicurezza e le forze dell’ordine sono tratteggiate come inette o addirittura parte stessa del male.

Facendo un riassunto, le ‘regole’ che un buon film di home invasion dovrebbe rispettare sono:

– La vittima del crimine deve essere comprensiva e apparire vulnerabile;
– Il crimine perpetrato deve essere spaventoso e scioccare lo spettatore;
– Dopo il crimine, chi esegue la vendetta deve superare il suo dolore, la paura, il dubbio o l’insicurezza iniziali;
– Dopo un momento di riflessione, che si vendica si arma per lo scontro;
– La vendetta è sanguinaria e disumana. In altre parole, la punizione si adegua al crimine iniziale.

Becky riempie tutte queste caselle, eccetto la prima, che per molti aspetti è la più importante. La protagonista, infatti, non appare mai come una vittima. In effetti, le prime scene del film dipingono Becky come una versione ‘alternativa’ di Dominick. Scene alternate raffigurano Rebecca a scuola e Dominick in prigione ad assistere a combattimenti, camminare da un posto all’altro, spostarsi a bordo di un veicolo e mentre guarda gli altri con l’aria di chi sta giudicando. Becky è una disadattata e una potenziale sociopatica, ma non è una vittima. Ha il pieno controllo di ogni situazione. Addirittura la vediamo compiere dei piccoli crimini durante il viaggio verso la casa sul lago.

becky film 2020 lulu wilsonQuando gli uomini irrompono nell’abitazione e seminano il panico tra i presenti, Rebecca lancia un urlo di rabbia nel suo fortino, mentre Jeff, Kayla e Ty vengono interrogati. E mentre ripetuti flashback telegrafano quanto le manca sua madre, Becky non appare mai vulnerabile. Gli spettatori proveranno sicuramente paura per Jeff, Kayla e persino per Diego e Dora, ma mai per Becky. Non è chiaro se senta qualche legame con suo padre, e sicuramente non ha sintonia con Kayla, quindi è difficile per chi guarda empatizzare troppo con lei.

Detto questo, Lulu Wilson (Ouija – L’origine del male) offre sicuramente una prestazione entusiasta e notevole nei panni di Becky. Adornata di un copricapo ‘da orso’ lavorato a maglia, occhiali da sole di colore rosa, colpi di sole blu, stivali militari con lacci di diversi colori e jeans strappati, la giovane problematica si veste come una versione moderna dei Ragazzi Perduti. Insieme al suo spiazzante stile di vestiario, l’attrice 14enne è dotata di un urlo, un ghigno e uno sguardo furioso che potrebbe far paura persino alla fredda Hit-Girl di Kick-Ass.

Oltre alla performance di Lulu Wilson, le tecniche utilizzate per inquadrare la protagonista sono di grande efficacia, descrivendo il suo isolamento in un modo che colpisce inconsciamente gli spettatori. Durante il viaggio verso la casa sul lago, la telecamera alterna primi piani di Becky e di Jeff, mai insieme. Quando arrivano a destinazione, Kayla e Ty scendono da una seconda macchina, Jeff li raggiunge e abbraccia e la telecamera mostra il gruppo di tre in primo piano, con Becky ‘abbandonata’ sullo sfondo. La stessa scena si ripeta di lì a poco a cena. Mentre il film procede, Becky passa molto tempo da sola, ma ogni volta che condivide lo schermo con un altro personaggio, c’è sempre una ‘linea di separazione’ a rimarcare il concetto.

A braccetto con Lulu Wilson il Dominick di Kevin James. Chiunque lo abbia visto in Hitch o in Il superpoliziotto del supermercato faticherà probabilmente a riconoscerlo nei panni di un violento criminale suprematista. L’attore possiede sicuramente il fisico per sembrare minaccioso. Sulla testa ben rasata di Dominick svetta una svastica, mentre una barba folta copre il viso che normalmente regalerebbe grasse risate. Se la sua trasformazione è notevole, l’effetto complessivo manca però il bersaglio. Kevin James non riesce mai a incutere l’auspicabile paura. Nulla di ciò che dice o che fa si discosta dal comportamento stereotipato e dalle diatribe che potremmo aspettarci da un neonazista. Insospettabilmente, gli altri membri della banda mostrano più complessità e sfumature, il che li rende più credibili. Tuttavia, assistere a una prova così lontana dal solito la rende ugualmente gratificante.

becky film 2020 kevin jamesCome anticipato, il pubblico che cerca splatter e vendetta troverà di che divertirsi. Becky mette in atto un regolamento di conti prolungato, fantasioso, bagnato e caotico. Spesso è la creatività a rendere interessante una “morte per vendetta” e gli spettatori certo non si annoieranno.

Tornando alle note meno positive invece, Dominick e gli altri assaltano la casa alla ricerca di una chiave con un simbolo speciale inciso. La chiave compare durante la storia, ma non è mai chiaro cosa il malvivente avesse pianificato di farci, il che è piuttosto frustrante. Una rapida ricerca su Internet rivela che il simbolo è un Valknut, un antico simbolo norreno. Se i suoi utilizzi sono vari, è spesso usato dai neonazisti come segno dell’essere disposti a rinunciare alla propria vita in battaglia. Alcuni quesiti sorgono quindi inevitabili: perché questa chiave era nella casa sul lago? Come faceva Dominick a sapere che la chiave era proprio lì? Qualcuno della famiglia potrebbe avere avuto dei trascorsi col bruto? E la rivelazione finale sulla posizione della chiave potrebbe sia causare disagio che suscitare molte più domande di quello che normalmente avviene in un classico titolo home invasion.

In definitiva, il film di Cary Murnion e Jonathan Milott deraglia dal percorso del genere a cui – teoricamente – appartiene. Becky interpreta una giovane che ha perso ogni fiducia nell’umanità già molto prima che questa banda di criminali entri nella sua proprietà. Fin dall’inizio, vuole punire tutti quanti per il mondo in cui è costretta a vivere da quando sua madre è morta. Anche la sua relazione col padre è tesa. Becky è sola quando inizia il film. Per Becky, Dominick e la sua cricca di teppisti sono solo un’altra prova che la gente fa schifo e le sue azioni dimostrano che nessuno è esente dal giudizio, anche quando la aiutano. Un ‘colpo di scena’ solo parzialmente intrigante, un po’ perché porta all’estremo delle premesse già viste da altre parti, un po’ perché non resta fedele al ‘dogma’ imposto dalla cospicua tradizione. Insomma, un esperimento atipico riuscito a metà, che potrebbe piacere molto o per niente.

Di seguito il trailer internazionale di Becky, distribuito direttamente in digital HD e on demand dal 5 giugno: