Voto: 6/10 Titolo originale: Close , uscita: 22-02-2019. Regista: Vicky Jewson.
Close | La recensione del film Netflix di Vicky Jewson con Noomi Rapace
25/10/2019 recensione film Close di Francesco Chello
La regista prende spunto dalla vita della bodyguard Jacquieline Davis per realizzare un action accettabile e scorrevole, nonostante i problemi di scrittura e la superflua impostazione femminista
Close è un action thriller presente nel catalogo Netflix dal 18 gennaio di quest’anno. Diretto dalla regista inglese Vicky Jewson, che risulta anche tra i produttori e ne firma la sceneggiatura insieme al fidato collaboratore Rupert Whitaker – presente nei tre film della Jewson in qualità di produttore, sceneggiatore e second unit director (oltre che attore nei primi due, ovvero Lady Godiva e Born of War). Il film trae ispirazione dalla vita di Jaquieline Davis, autrice del bestseller The Circuit ma, soprattutto, una delle guardie del corpo donna più famosa al mondo, una che in carriera vanta la protezione di membri della famiglia reale, così come esponenti dello show business (Nicole Kidman, Liza Minnelli, Diana Ross e J.K. Rowling, solo per fare qualche nome). L’intenzione non è quella di raccontare una storia vera, gli eventi narrati sono di fantasia così come i personaggi, la volontà è quella di prendere spunto dalle gesta della Davis per portare sullo schermo un prodotto che possa unire intrattenimento e un tono femminista.
Ed è proprio sotto quest’ultimo aspetto, che sembra riguardare l’intera impostazione, che il film funziona meno. I suoi problemi più grossi sono di tipo concettuale (oltre che di abuso di cliché, ma ne parliamo dopo). L’idea di sdoganare (ostentandolo) un certo tipo di action al femminile e relativa eroina (che a dire il vero non ne hanno bisogno, visto che funzionano da anni) vorrebbe evidenziare dei limiti discriminanti che, in realtà, sono nella mente di chi fa partire il messaggio piuttosto che nel pubblico che dovrebbe recepirlo.
Il contesto è costruito sul girl power, donne nei personaggi chiave (protagonista, coprotagonista, presunta antagonista), focus sulle relazioni che si vengono a creare tra loro, banalissimo background da ragazza madre che ha dovuto abbandonare la figlia controvoglia per le difficoltà che la società impone, l’ambientazione marocchina chiaramente ostile nei confronti delle donne, i figuranti uomini tutti cattivi e/o incapaci.
Un insieme di elementi che hanno il solo scopo di configurare la situazione, perché in concreto Close non si pone come portavoce di chissà quale messaggio di denuncia femminista, mentre bastava il solo personaggio (e relativa interpretazione) di Noomi Rapace e l’idea di Jacquie Davis come ispirazione sullo sfondo, a rendere onore alle donne d’azione. Insomma, il cinema dovrebbe smetterla di farsi tante pippe mentali su uguaglianza e discriminazione quando ormai a buona parte del pubblico (intelligente) non interessa categorizzare o discriminare, lo spettatore sano non fa distinzione di sesso, razza o quant’altro.
E mi fermo qui con questa divagazione più o meno casuale, ma quasi doverosa vista la deriva psicotica che ha colpito gli addetti ai lavori (molto più che il pubblico, appunto) da un po’ di tempo a questa parte, questa stramba convinzione di poter portare la pace nel mondo attraverso l’assegnazione di ruoli a presunte minoranze (che minoranze non sono, visto che le diversità non esistono).
Detto di questo suo spirito femminista, più di forma che di sostanza, Close continua a perdersi in fase di scrittura cadendo in una serie di luoghi comuni. Dalla ricca ragazzina viziata piena di problemi esistenziali al personaggio forte che accetta il lavoretto controvoglia, passando per la relazione che si sviluppa tra le due (l’iniziale astio che diventa complicità e affetto), finendo col passato tormentato della protagonista alle prese con un debito di coscienza con sé stessa che le impone il dovere morale di portare a termine una missione che non le compete più.
Protagonista che, però, si rivela una freccia nell’arco del film e porta il nome di Noomi Rapace. La svedese è tostissima, determinata, motivata, affronta il ruolo in un modo fisico; la sua Sam è cazzuta, risoluta ma anche fragile, sofferente, semina cadaveri ma sa concedersi anche il tempo per un pianto liberatorio. E, soprattutto, è letale, uccide senza scrupoli, quando combatte è una furia. Sam e Noomi sono unite da un comune denominatore da individuare nella parola ‘preparazione’; quella di Sam, guardia del corpo di grande esperienza che non lascia nulla al caso, e quella dalla Rapace, che approccia in maniera professionale un ruolo faticoso.
Il personaggio viene presentato attraverso un efficacissimo prologo sul campo – che anticipa i titoli di testa caleidoscopici adagiati sulle note di una cover di Running Up That Hill, un’introduzione senza giri di parole, in cui da sola viene fuori da un assedio in cui a parlare sono le pallottole. Al suo fianco la giovane canadese Sophie Nélisse, a suo agio nel ruolo della ragazzetta problematica, ed Indira Varma, la cui elegante austerità si rivela funzionale a un depistaggio di trama.
L’azione di Close offre almeno altre tre o quattro sequenze di discreta fattura, situazioni più o meno simili in cui Sam deve divincolarsi dal pericolo e salvare la cliente. Penso all’attentato in villa o la fuga dall’auto della polizia, con menzione per una concitata scena subacquea tra ossigeno che sembra finire, irrequieti banchi di pesci e un grosso amo provvidenziale. I corpo a corpo si rivelano un punto a favore, crudi e realistici, non cercano coreografie apparentemente elaborate (immagino comunque di esecuzione impegnativa) ma trasmettono la giusta (e sanguinolenta) drammaticità. Il finale, invece, avrebbe potuto essere un po’ più incisivo da questo punto di vista, magari con uno showdown più importante e Sam maggiormente al centro della scena.
Al netto, quindi, di problemi di scrittura e di un’impostazione femminista tanto superflua quanto poi poco concreta nei fatti, la visione di Close si rivela comunque scorrevole, 94 minuti vanno via senza grossi ostacoli, un intrattenimento accettabile. La trama fornisce quel minimo sindacale di intrigo utile a insaporire la situazione di pericolo e sviare quel tantinello da poterci piazzare un accenno di colpo di scena. La confezione è mediamente curata, mentre la location fa il suo, col contrasto tra la fortezza ipertecnlogica ed il nulla desertico circostante. Ed al centro di tutto, un personaggio indovinato che sarei stato curioso di vedere all’opera in un contesto meno ancorato ai cliché.
Di seguito il trailer internazionale (per meglio apprezzare le voci originali) di Close:
© Riproduzione riservata