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Voto: 7/10 Titolo originale: Alien Nation , uscita: 07-10-1988. Budget: $16,000,000. Regista: Graham Baker.

Dossier: Alien Nation, un buddy movie sci-fi con James Caan che cela un messaggio evergreen

11/07/2022 recensione film di Francesco Chello

Ricordiamo l'attore recentemente scomparso attraverso un film poco noto, ma ricordato con grande affetto dai suoi fan. Una piacevolissima variazione nel genere che unisce intrattenimento hollywoodiano e critica sociale, in nome di uguaglianza e integrazione. Con Mandy Patinkin affidabile spalla aliena e Terence Stamp cattivissimo villain

alien nation film 1988 caan

Lo scorso 6 luglio ci lasciava James Caan. Il cinema perde un altro pezzo da novanta. Nato nel Bronx, New York, nel 1940, cresce nel Sunnyside, quartiere del Queens. Si iscrive all’Università di Hempstead (che non completa, preso dalla recitazione) dove conosce quel Francis Ford Coppola che gli offrirà il ruolo che darà una svolta alla sua carriera.

Con merito, s’intende, perché è la sua interpretazione a rendere quel ruolo memorabile come ogni singolo particolare del film che lo ospita. Mi riferisco ovviamente a quella pietra miliare de Il Padrino (seconda di tre collaborazioni con Coppola) del 1972, nel quale James Caan interpreta Santino Corleone, primogenito di Don Vito; Sonny è fumantino, violento, devoto alla famiglia, personaggio che Caan interpreta con talmente tanta passione e credibilità da far pensare di avere origini italoamericane che in realtà non aveva. Una carriera che sarebbe riduttivo circoscrivere ad un unico ruolo, per quanto iconico.

Carattere, carisma, personalità sanguigna, ironia. Jimmy Caan spazia tra i generi, offre grandi interpretazioni, lavora con fior di registi. E’ genuino, agisce di pancia come quando rifiuta ingaggi che avranno grosso successo come Qualcuno volò sul Nido del Cuculo, Il Braccio Violento della Legge, Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, Blade Runner, Apocalypse Now o Superman. Lavora fino alla fine, nel 2023 uscirà postumo Gun Monkeys, action thriller diretto da Phillip Noyce con Pierce Brosnan, progetto che già mi incuriosiva ed ora ancora di più in quanto sua ultima volta sullo schermo.

AlienNation.jpgParlando random a livello personale, mi viene in mente El Dorado, western del 1966 imperniato su amicizia virile, buoni sentimenti ed un buon numero di sparatorie, in cui un ventiseienne James Caan ti colpisce per la disinvoltura con cui divide la scena con due mostri sacri come John Wayne e Robert Mitchum.

Uno dei suoi film che amo di più è Strade Violente (Thief, 1981), l’esordio (non assoluto, ma cinematografico) di un Michael Mann che entra di prepotenza nel giro, costruendo un film complesso intorno ad una storia semplice, gestito con uno stile già riconoscibile ed incentrato su un Jimmy Caan assolutamente perfetto per il ruolo: in un quarto d’ora ti ha già convinto di quello che è capace il suo personaggio, una bomba che è meglio non innescare.

Non ho mai sottovalutato (a differenza di altri) The Killer Elite – il fatto che fosse un Peckinpah minore non vuol dire sia un brutto film, anzi. Andrei avanti con gli esempi ma dirotterei il pezzo sull’analisi di un curriculum che non devo certo raccontarvi, che include parecchia roba vicina a quelli coi nostri gusti (se non avete sofferto con lui in Misery siete senza cuore), come del resto vi avevano già fatto notare quei chirurghi dei miei colleghi della redazione (la recensione).

Ormai ci conoscete, sapete che in questi casi non siamo per il necrologio, quanto per l’omaggio, la celebrazione dell’artista. Ricordare l’interprete attraverso uno dei suoi film. A tal proposito, la mia scelta è caduta su Alien Nation del 1988, probabilmente titolo meno gettonato in un curriculum che include picchi di un certo livello, ma a mio parere valido nel suo genere e per questo da riscoprire. Lo stesso James Caan, nel corso di un’intervista del 2013, si dichiarò sorpreso dalle domande su un film che riteneva non essere tra i suoi preferiti.

D’altronde si trattava di un ingaggio accettato presumibilmente per ragioni di natura prevalentemente ‘alimentare’. L’attore statunitense, infatti, aveva ripreso a recitare soltanto l’anno prima, dopo una pausa di cinque anni in cui era stato preda della depressione (e della dipendenza da cocaina) in seguito alla morte della sorella per leucemia avvenuta nel 1981. Era stato Francis Ford Coppola (ancora lui), a riportarlo nel giro con Giardini di Pietra nel 1987.

Tutte ragioni che, insieme al gradimento per il film, mi hanno spinto a sceglierlo. Perché approcciare con professionalità un ruolo in un progetto che magari non ti entusiasma è indice di spessore, così come essere in grado poi di contribuire alla riuscita di quel film che dal canto suo si basa su una struttura abbastanza semplice.

Sempre nel 1987 esce Arma Letale (l’approfondimento), capolavoro action che magari non aveva inventato il concetto di ‘buddy cop movie’ ma lo aveva ridefinito e rafforzato col miglior esempio di sempre del filone. Il successo porta al proliferare di titoli appartenenti al sottogenere, declinati in varie salse. Uno di loro è Alien Nation, appunto.

Lontano da un prototipo a cui forse non ambisce nemmeno (ma che sembra citare nella scena del poligono in cui Sykes sfodera una Casul 454 a cinque colpi), va a pescare nell’immaginario sci-fi la sua variazione sul tema. Nell’ottica del ‘buddy degli opposti’, Alien Nation si propone di estremizzare il concetto di quegli opposti. Come? Abbinando un poliziotto umano ad uno alieno.

Alien Nation 1988La sceneggiatura è di Rockne S. O’Bannon – nessuna parentela dichiarata con Dan (autore di titoli come Alien o Il Ritorno dei Morti Viventi) nonostante un background prevalentemente fantascientifico possa portare a pensarlo – anche se in un secondo momento viene revisionata (senza essere accreditato) nientemeno che da James Cameron, a titolo di favore personale nei confronti di Gale Anne Hurd (produttrice del film e di svariati cult come Aliens, Terminator o Tremors) con cui al tempo era sposato.

Alien Nation racconta di un futuro prossimo in cui la Terra ospita una razza aliena umanoide, integrata ormai con gli esseri umani. Siamo nella Los Angeles del 1991, tre anni prima 300mila Newcomers (I Nuovi, nella versione italiana) erano giunti sul nostro pianeta a bordo in un’astronave atterrata nel deserto del Mojave. In quei tre anni assimilano linguaggio, usi e costumi umani in maniera tale da poter godere di un’integrazione quasi perfetta.

Laddove il ‘quasi’ si riferisce a una buona parte della popolazione losangelina che guarda con scherno e/o diffidenza gli alieni che in qualche modo (e salvo rari casi) vengono sostanzialmente ghettizzati (e definiti ‘neo inseriti’). Senza contare il discorso tossicodipendenza strettamente legato ai ceti meno abbienti. Insomma, non so se qualcuno (non io) possa definirla una maniera retorica o elementare, ma il film non fa nulla per nascondere ma anzi esplicita il suo forte messaggio di natura antirazzista.

Basta sostituire gli alieni con qualsiasi minoranza etnica presente negli Stati Uniti (afroamericani in primis, naturalmente,) e il gioco è fatto. E sinceramente me ne frego se qualcuno si formalizza per una dichiarazione d’intenti decisamente palese, piuttosto apprezzo chi cerca di trasmettere un messaggio contro il razzismo, attraverso un inno alla tolleranza ed alla integrazione.

Specie se a farlo è un film di genere come Alien Nation, che non perde di vista la sua anima d’intrattenimento riuscendo ad abbinarci un contenuto delicato. Emblematiche (e sempre attuali) le parole dell’alieno Sam Francisco che ci ricorda come il nostro sia un mondo basato sull’uguaglianza, che rende gli individui padroni della propria vita, un popolo che non chiede agli stranieri più di quanto non chieda a sé stesso, un popolo potenzialmente speciale in cui però pochissimi vivono secondo questi ideali.

alien-nation-1988Anima, dicevamo. Quella di Alien Nation risponde a un onestissimo e piacevole poliziesco d’indagine. Con un po’ di graditi cliché del periodo, dalla rapina al minimarket alla coppia di sbirri scemi ostile al duo protagonista, il collega di colore che ci resta secco a inizio film, il medico legale che mangia nel mezzo di un’autopsia. A conti fatti l’azione non è tantissima, ma viene collocata nei momenti chiave ovvero primo e terzo atto.

All’inizio un lungo conflitto a fuoco, pallottole a profusione (Sykes ne impiegherà ben 16 soltanto per stendere uno dei rapinatori), vetri infranti, auto perforate e morti ammazzati. L’epilogo, invece, vede un inseguimento con annesso autoscontro, per poi passare ad uno showdown in barca e mare aperto con tanto di melting conclusivo.

Nel mezzo l’indagine, con quel minimo di intrigo utile a solleticare l’interesse dello spettatore ed una serie di situazioni che veicolano un’adeguata caratterizzazione dei due protagonisti e della loro relazione in itinere. Non mancano momenti più leggeri, tipo le gag su Richard Nixon/Burton, la barzelletta del termometro, il siparietto sul preservativo ed il poster di Rambo 6. Ma anche frangenti più intensi sotto l’aspetto emotivo, su tutti il suddetto finale in mare con presa significativa.

Il regista britannico Graham Baker non è che abbia un curriculum brillantissimo (Alien Nation finisce per essere il suo lavoro migliore, seguito dal terzo Omen retto in buona parte da Sam Neill), lo stesso James Caan dichiarerà di non averci avuto molto feeling pur ritenendolo una brava persona, questo per dire che non avrà grossa tecnica ma nella circostanza riesce a gestire l’azione in maniera godibile e dignitosa, dimostrare praticità (chiede di rimuovere una complicata cresta meccanica dal look degli alieni di sesso maschile), oltre che rendere il film sufficientemente scorrevole.

Merito chiaramente anche di un protagonista come James Caan che indossa con assoluta naturalezza i panni dello sbirro tosto, cocciuto e disilluso; il classico poliziotto anni ’80, audace e incosciente, dedito al lavoro al punto da aver mandato in fallimento la propria sfera privata. Jimmy è in forma, 46enne dal fascino rozzo ma cool, con la sua maglia dei Dallas Cowboys ed il giubbotto di pelle perennemente addosso, si concede qualche stunt (tra cazzotti, pistola ed una nuotata finale), ha sempre la battuta pronta.

Il suo Sykes sembra decisamente ostile agli alieni, ma rivelerà umanità ed empatia in nome di lealtà ed amicizia interrazziale. Lo assiste nel migliore dei modi Mandy Patinkin nei panni (e nel trucco) del poliziotto alieno Sam Francisco che Sykes ribattezzerà George; Caan dichiarerà di aver amato lavorare con Patinkin, bravo a dare grande umanità al suo sbirro extraterrestre, ma anche risolutezza nei momenti clou, la sintonia del duo finisce per fare bene al film.

alien nation film 1988 james caanTerence Stamp è William Harcourt, villain alieno senza scrupoli, che tenta di arricchirsi sulla pelle dei propri simili, pur di non farsi arrestare si lascia andare ad una mutazione mostruosa – con l’attore britannico che si rifiuta di sottoporsi alla sessione di trucco extra prevista dalla mutazione, rendendo necessario l’utilizzo di una controfigura al suo posto nelle sequenze finali.

Nel cast anche caratteristi come Brian Thompson, Peter Jason ed Earl Boen, mentre Leslie Bevis interpreta Cassandra, sensualissima aliena che si esibisce sulle note di una cover di Sympathy for the Devil ad opera dei Jane’s Addiction, tre anni prima di Intervista col Vampiro – che però proponeva una versione dei Guns N’ Roses decisamente superiore.

Il brano degli Stones non è l’unico coverizzato presente nella soundtrack di Alien Nation, c’è pure Sittin’ on the Dock of the Bay, originariamente di Otis Redding e qui proposto da Michael Bolton, in una colonna sonora che propone anche brani come Surfin’ Safari dei Beach Boys e Scary Monsters di David Bowie, mentre la musica originale viene composta da Curt Sobel che sostituisce Jerry Goldsmith il cui score viene bocciato in fase di montaggio dalla produzione che lo ritiene troppo ‘weird’.

Per il look degli alieni (e la sua realizzazione) ci si rivolge allo studio di Stan Winston, da sempre vicino alla Hurd (e Cameron). La progettazione non viene però curata direttamente da Winston, che si limita a dare alcune indicazioni oltre che proporre una carnagione dai toni forti giallo e blu che verrà poi bocciata (in favore di una colorazione simile a quella degli umani) per poi lasciare il compito ad un gruppo di fidati collaboratori tra cui Alec Gillis (che fa pure una comparsata attoriale) e Tom Woodruff Jr, che di lì a poco si metteranno in proprio fondando la Amalgamated Dynamics.

La sessione di trucco dura circa quattro ore per un look essenziale, minimalista, ma efficace nel delineare l’appartenenza a un altro mondo e la differenza con gli esseri umani, un aspetto che fosse in qualche modo credibile senza apparire ridicolo o posticcio. Testa a forma di patata (non a caso, cast & crew chiamavano bonariamente gli alieni ‘potato heads‘) con una sorta di pelle maculata, nessuna presenza di capelli o peli, orecchie prive di cartilagine.

Per il resto appaiono molto simili a noi, anche se descritti con due cuori ed un non meglio identificato apparato riproduttivo, parlano una lingua chiamata ‘tenctonese’, amanti del latte acido (con cui si ubriacano) e della carne cruda (non assimilano sostanze nutrienti da alimenti cotti), possono respirare metano senza conseguenze ma muoiono se immersi nell’acqua salata che per loro ha gli stessi effetti dell’acido.

Dotati di grande resistenza, spirito di adattamento e rapidissime capacità di apprendimento, caratteristiche dovute al fatto che si tratta di una specie figlia di ingegneria genetica, in sostanza schiavi (agli ordini di razze ancora più evolute) destinati ai lavori più faticosi. Ragion per cui, qualsiasi ghettizzazione terrestre (vivono in un’area della città soprannominata Slagtown) sarà sempre un paradiso in confronto alla schiavitù – ulteriore parallelo con la comunità afroamericana.

alien_nationOriginariamente intitolato Outer Heat, venne rinominato per non andare in conflitto con ‘Red Heat’ (il titolo originale di Danko, di Walter Hill) in uscita lo stesso anno, mentre su alcune rare cartoline promozionali compariva un ulteriore denominazione rivelatasi provvisoria, Space Cop LA 1991.

Alien Nation avrebbe dovuto esordire a luglio del 1988 nelle sale statunitensi, spostato poi ad ottobre dalla 20th Century Fox per la concomitanza della release di Die Hard (la recensione), titolo di punta del panel dello Studio. Titolo, release e score musicale non sono le uniche modifiche apportate nel corso di una post-produzione che vide il film tagliato e rimontato in modo da risultare più breve e maggiormente scorrevole, con alcune immagini scartate che restano visibili nei primi trailer.

In Italia esordisce a febbraio del 1989. Costato circa 16 milioni di dollari, incassa circa il doppio in tutto il mondo. Non va malissimo, ma non è abbastanza per garantirgli un sequel diretto, quel tanto che basta tuttavia per coltivare un seme televisivo che vedrà fiorire una serie e cinque film tv ad essa collegati, oltre che svariati fumetti e romanzi. Nessun membro del cast del film originale compare nei prodotti televisivi ad eccezione di Brian Thompson, che partecipa all’episodio numero 18 della serie nei panni di un personaggio differente da quello interpretato nel lungometraggio del 1988. Non vanno poi dimenticati i prodotti che ne prendono ispirazione, magari Max Landis negherà di averlo visto ma dubito ci sarebbe stato Bright senza Alien Nation.

Un Alien Nation che si conferma tutt’oggi una godibilissima variazione sul tema del buddy movie, che unisce intrattenimento e un importante (e sempre attuale) messaggio sociale su razzismo, tolleranza e integrazione. E che può contare su una coppia in sintonia, in cui menzionare obbligatoriamente un coriaceo e ironico James Caan. Baciamo le mani, Jimmy.

Di seguito trovate il trailer internazionale di Alien Nation: