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Voto: 7/10 Titolo originale: Bone Tomahawk , uscita: 23-10-2015. Budget: $1,800,000. Regista: S. Craig Zahler.

Riflessione | Bone Tomahawk di S. Craig Zahler: non entrate in quella valle

29/11/2020 recensione film di William Maga

Nel 2015, Kurt Russell, Patrick Wilson e Matthew Fox erano gli abili protagonisti dell'esordio al cinema del regista, un western horror crudele e spietato, costruito su dialoghi e personaggi affascinanti

bone tomahawk film 2015

Sulla carta, l’idea di combinare un western con una storia horror è stranamente avvincente, ma sono piuttosto rari i mash-up di questo tipo all’interno del panorama di genere internazionale, tra i quali spiccava l’eccellente The Burrowers di JT Petty del 2008. Almeno fino all’uscita di Bone Tomahawk, uno dei film più sorprendenti del 2015, che nonostante le oltre 2 ore di durata riesce a mantenersi avvincente e pieno di suspense.

Questo debutto al lungometraggio dello sceneggiatore e regista S. Craig Zahler si apre con due briganti di bassa lega (David Arquette e il leggendario Sid Haig) che si avventurano in una valle minacciosa contrassegnata da teschi umani al suo ingresso. Il Purvis interpretato dal primo riesce a uscirne e finisce in un bar nella piccola città di Bright Hope, dove si rifiuta di rispondere alle domande quando lo sceriffo Franklin Hunt (Kurt Russell) e il suo vice Chicory (Richard Jenkins) vengono convocati per interrogarlo. L’uomo finisce in prigione con un proiettile nella gamba e la dottoressa locale Samantha O’Dwyer (Lili Simmons) viene chiamata per curarlo. La mattina dopo, tuttavia, Samantha, il prigioniero e un secondo vice sono spariti, rapiti da qualunque cosa ci fosse in quella valle, venuta per cercare Arquette – che, scopriamo, aveva là profanato un cimitero sacro.

bone-tomahawkHunt, Chicory, un dandy locale di nome Brooder (Matthew Fox) e il marito di Samantha, Arthur (Patrick Wilson) – zoppo lui stesso a causa di una gamba rotta – organizzano allora una spedizione di soccorso nella valle, che ospita i “trogloditi”, un clan di selvaggi dediti al cannibalismo così orribili e primitivi che un nativo americano locale è indignato quando uno degli abitanti del paese si riferisce a quel clan come a qualcuno della sua stessa “specie”. Il nostro quartetto di eroi parte comunque, impreparato alle atrocità che li attenderanno, ma determinato a riportare a casa le vittime.

Qualcuno ha definito Bone Tomahawk come l’incontro tra Sentieri Selvaggi e Cannibal Holocaust, una definizione abbastanza calzante: ha infatti elementi di entrambi quei classici, e di altri titoli come Gli Spietati e The Descent. Uno degli elementi che più funzionano è il suo ritmo compassato: in quasi 133 minuti molto tempo è dedicato ai dettagli realistici dell’ambientazione e della storia e, cosa più importante, allo sviluppo dei personaggi.

Nel momento in cui la vicenda si sposta dal classico western al classico horror nel corso del terzo atto – e non sottovalutate il passaggio, si tratta di materiale raccapricciante e da brividi – lo spettatore è ormai così investito in queste persone e nella posta in gioco che la virata verso qualcosa di molto più oscuro e più straniante non si sente affatto azzardata.

Al centro di Bone Tomahawk c’è la relazione scherzosa tra il brizzolato, senza fronzoli ma umano Hunt e il suo gregario, il non proprio brillante ma ancora ferocemente etico e pieno di risorse Chicory. Kurt Russell offre la performance dura e pura che ci potremmo aspettare – temperata da momenti di compassione e di dignità – ma Richard Jenkins (quasi irriconoscibile all’inizio) è davvero sensazionale nei panni di un vedovo anziano e solitario che trova la forza e la pace nel meditare su nozioni semplici nei momenti più insoliti.

Anche le prove di Patrick Wilson e Matthew Fox sono piuttosto solide, la relazione dei loro personaggi messa alla prova dall’inseguimento di quest’ultimo della moglie di Arthur, ma entrambi disposti a mettere da parte i vecchi rancori per il bene comune. Colpisce specialmente Brooder, un uomo che sembra possedere una totale fiducia in se stesso ma il cui aspetto esteriore calmo maschera ferite profonde e tragiche causate dallo scontro tra i primi coloni americani e le tribù dei nativi americani. Arthur è invece posizionato dallo script come l’anello debole – sua moglie sembra certamente essere la più forte tra i due – ma ogni volta che sembra sul punto di mollare trova qualche ultima traccia di coraggio e vigore per andare avanti.

bone-tomahawkNe avrà bisogno, perché il clan cannibale è una creazione tanto orribile quanto qualsiasi altra variazione del modello di abitante delle caverne ‘mutante’. Dipinti di bianco gesso, con zanne inserite nelle loro bocche e comunicando attraverso ululati spaventosi (a loro volta ottenuti attraverso alcune macabre alterazioni delle loro gole), questi esseri astuti, predatori e spietati potrebbero probabilmente dare del filo da torcere anche a una squadra di militari addestrati, figuriamoci a un gruppetto disordinato di coloni del XIX secolo.

C’è una morte nell’ultimo terzo di Bone Tomahawk che è tra le più brutali e cruente a memoria recente, mentre le restanti scene di violenza riescono a far sussultare sia di terrore che di repulsione fisica.

È proprio qui che Bone Tomahawk mostra le sue radici exploitation, e se non fosse per il bel lavoro sui protagonisti fatto nei 90 minuti precedenti, il film sarebbe precipitato facilmente nella semplice grossolanità fine a se stessa. Ma poiché siamo arrivati ​​a prenderci cura di questi uomini – imparando a comprendere la gentile esasperazione e il profondo affetto tra Hunt e Chicory – siamo sinceramente legati al loro destino, indipendentemente dalle umiliazioni che devono affrontare.

Può apparire lento a volte – ha un incedere decisamente deliberato – e sebbene tocchi questioni più grandi come il razzismo e l’ignoranza nel Vecchio West, non usa i ‘trogloditi’ come una metafora. Questo e una fotografia non esattamente ispirata – opera di Benji Bakshi – fanno sembrare il film più insignificante, quando invece avrebbe potuto utilizzare per i suoi scopi almeno una parte della portata epica dei vecchi western. Anche il finale non risuona così potente come probabilmente S. Craig Zahler aveva inteso sulla carta, ma poco importa in fondo, visto che resta molto altro di cui godere, inclusi i dialoghi, formali ma genuinamente accattivanti. Si parla molto in Bone Tomahawk per un’opera di questo genere, ma considerato il cast, non ci dispiace per niente.

Di seguito una scena di Bone Tomahawk: