Voto: 5/10 Titolo originale: Apartment 7A , uscita: 20-09-2024. Regista: Natalie Erika James.
Apartment 7A: la recensione del film prequel di Natalie Erika James (su Paramount+)
28/09/2024 recensione film Appartamento 7A di William Maga
Julia Garner è al centro di un'opera modesta, rispettosa di Rosemary's Baby, ma senza personalità
All’inizio di quest’anno, il pubblico ha conosciuto The First Omen – L’origine del Presagio, il prequel di un film iconico che, come spesso accade, in pochi avevano effettivamente richiesto.
Tuttavia, nel panorama attuale dello streaming, gli Studios americani sono desiderosi di sfruttare qualsiasi proprietà intellettuale affermata, spesso a discapito dell’integrità del nome. The First Omen, inizialmente destinato a Hulu, era stato poi distribuito nei cinema dopo alcune proiezioni di prova promettenti.
Ed è facile capire perché: aveva una visione, uno stile e un’inventiva che hanno reso avvincente l’esplorazione del passato di Damien. Pochi horror all’interno di un franchise possono vantare una tale forza artistica: The First Omen è stata un’eccezione.
Adesso è il turno di Appartamento 7A / Apartment 7A, prequel girato nel 2022 e parzialmente rigirato nel 2023 del celebre Rosemary’s Baby, che fatica però a giustificare la propria esistenza. Come molti progetti destinati direttamente alla visione domestica, viene da chiedersi perché qualcuno dovrebbe mai guardarlo, inclusi gli stessi dirigenti che hanno approvato il progetto.
Se The First Omen presentava location autentiche, Apartment 7A sembra progettato proprio per il piccolo schermo, con un set incerto a sostituire la New York del 1965. Ci sono momenti fugaci in cui tenta di liberarsi dalle sue limitazioni di budget, ma troppo spesso si rifugia in un’estetica artificiale, mal illuminata e raramente coinvolgente.
Julia Garner (Ozark) interpreta Terry Gionoffrio, un personaggio solo brevemente menzionato nell’originale. È una ballerina di Broadway in difficoltà, che cerca di riprendersi dopo un devastante infortunio al piede. I Castevet (Dianne Wiest e Kevin McNally, nei ruoli che furono di Ruth Gordon e Sidney Blackmer) la accolgono come una di famiglia, offrendole un appartamento gratuito nel loro lussuoso edificio.
Tuttavia, sappiamo già che i Castevet hanno secondi fini: sono adoratori del Diavolo con piani per sovvertire il regno di Dio, e hanno bisogno di giovani donne sane per il loro malvagio disegno.
La promettente regista e co-sceneggiatrice Natalie Erika James (Relic), insieme agli sceneggiatori Christian White e Skylar James, esplora in modo interessante il concetto che il successo spesso richiede il sacrificio della propria anima.
Un aspetto in cui Apartment 7A fa qualche progresso è poi l’esplorazione dell’aborto in un’epoca in cui raramente se ne parlava apertamente. Tuttavia, non riesce mai a catturare l’isolamento vissuto da una madre casalinga, né gli effetti disorientanti del soffocamento da parte di una società dominata dagli uomini come invece aveva fatto così magistralmente il film del 1968.
Questo solleva allora una retorica domanda cruciale: se si cerca di camminare all’ombra del classico diretto da Roman Polanski, bisognerebbe avere della sostanza per provarci.
La storia claustrofobica di una donna che porta in grembo il figlio di Satana fu un successo straordinario all’epoca, al punto da guadagnarsi addirittura un Oscar per la Miglior attrice non protagonista. È quasi assurdo che Hollywood tenti di rivisitare un simile capolavoro.
La 30enne Julia Garner e Dianne Wiest (Edward mani di forbice) fanno del loro meglio per elevare un prodotto che si trascina senza vera tensione o spaventi per 105 minuti, e dato il risultato ampiamente scontato (tutti abbiamo visto Rosemary’s Baby giusto?), c’è ben poco spazio per delle sorprese.
Apartment 7A è troppo concentrato sull’essere un prequel per tracciare davvero un percorso personale. Questo avrebbe potuto forse funzionare se il film ci portasse all’interno del culto satanico e ampliasse ciò che già sappiamo, ma la sceneggiatura cerca piuttosto di replicare il ritmo compassato di Rosemary’s Baby e di ricordarci costantemente che l’originale esiste.
Al di là dei personaggi di Dianne Wiest e Kevin McNally, abbiamo una palese ricreazione della storica scena della camera da letto. A un certo punto, Apartment 7A abbandona completamente il vago tentativo di distinguersi e ripercorre esattamente la stessa strada dell’illustre predecessore.
L’ultima sequenza è l’unico momento in cui Apartment 7A riesce veramente a trovare una sua identità. Senza svelare troppo, combina danza, satanismo, destino e il brano “Be My Baby” delle Ronettes. È quel tipo di scena su cui sembra sia stato costruito l’intero film, ed è facile capire perché: funziona così bene da quasi giustificare da sola l’idea di un prequel. Se tutto il film avesse avuto questo grado di ispirata follia, saremmo qui a parlarne in termini differenti.
È comunque apprezzabile che Apartment 7A non sia eccessivamente referenziale rispetto al classico del 1968. Tuttavia è troppo rispettoso, al limite della crisi d’identità.
Insomma, Apartment 7A è l’ennesimo esempio di quella ‘rivoluzione dello streaming’ di Hollywood basata su amate proprietà intellettuali che fa alzare gli occhi al cielo, in attesa del prossimo tentativo di sfruttamento cinico.
In attesa di capire la data di uscita, di seguito trovate il trailer internazionale di Appartamento 7A / Apartment 7A, in esclusiva su Paramount+ dal 27 settembre:
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