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Voto: 7/10 Titolo originale: La tarantola dal ventre nero , uscita: 12-08-1971. Regista: Paolo Cavara.

Dossier: La Tarantola dal Ventre Nero, quando Giancarlo Giannini si dà al giallo all’italiana

03/08/2022 recensione film di Francesco Chello

Celebriamo gli 80 anni del grande attore attraverso una delle sue incursioni nel cinema di genere. Il film diretto da Paolo Cavara (con musiche di Morricone) si conferma valido esponente del filone grazie a un piglio tecnico che imbastisce una confezione diligentemente patinata che non trascura storia e personaggi, a cui contribuisce il suo protagonista contornato da un ottimo cast femminile

giancarlo giannini in La tarantola dal ventre nero (1971)

Qualche giorno fa leggevo un’intervista a Giancarlo Giannini. Tra le varie affermazioni, sempre interessanti e mai banali, mi ha fatto sorridere una battuta del buon Giancarlo sul fatto di non aver mai ricevuto riconoscimenti alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica: “A Venezia hanno dato premi a tutti, a me non hanno dato manco un gatto nero”.

Che se ci pensate è paradossale, nessun premio per uno dei migliori attori italiani di sempre in quello che da molti viene considerato come il più prestigioso Festival a tema del Belpaese. Una garbatissima stilettata, ironica ma pungente, quella che Giannini incastra in un discorso più ampio in cui raccontava, con estremo orgoglio, della decisione degli americani di insignirlo di una stella sulla Walk of Fame che ritirerà entro fine anno – “significa che gli piaccio” (agli americani), ha aggiunto.

Latarantoladalventrenero.jpgE se lo chiedete a me, dieci leoni d’oro non valgono una stella sulla Walk of Fame. Basterebbe pensare che, ad oggi, sono solo quattordici gli artisti italiani ad averne ricevuta una, a cui presto si aggiungeranno Luciano Pavarotti e Giancarlo Giannini, appunto. Di questi, soltanto due attrici (Anna Magnani e Sofia Loren) e un attore (Rodolfo Valentino), con Giannini che diventerà il primo interprete maschile del nostro cinema parlato a riceverla. Insomma, mica cazzi.

Dopo un riconoscimento del genere a cos’altro potrebbe ambire un attore di tale caratura per sugellare la propria carriera? Che domande. Ad una celebrazione sulle pagine del Cineocchio, ovviamente. Il primo agosto era stato il suo compleanno, non uno qualsiasi, Giancarlo Giannini ha raggiunto la cifra tonda (e importante) degli 80 anni. Assist perfetto per festeggiare la ricorrenza parlandovi di una delle sue incursioni in quel cinema che tanto amiamo da queste parti.

Attore sanguigno, talentuoso, versatile. Capace di svariare tanto in personaggi diametralmente opposti tra loro quanto nelle sfumature, nei dialetti. Dal cinema d’autore a quello disimpegnato, passando per quello d’intrattenimento e di genere, in patria e all’estero. Artista completo, che rimbalza dal cinema alla televisione, al teatro. All’occorrenza cantante o ballerino, scrittore.

E grandissimo doppiatore, al punto da mettere in crisi i puristi della versione originale. Senza dimenticare una cosa che a pensarci mi ha sempre fatto impazzire: la bravura come progettista tecnico, frutto di una passione giovanile per l’elettronica; diverse le opere brevettate, restando in tema cinema scatta la menzione obbligatoria per il giubbotto ricco di gadget indossato da Robin Williams in Toys – Giocattoli, diretto da Barry Levinson nel 1992.

Cinema di genere, dicevamo. Ed è proprio pescando in quello spaccato, che ho scelto il film di cui chiacchierare quest’oggi. Mi riferisco a La Tarantola dal Ventre Nero, giallo diretto da Paolo Cavara nel 1971, che quest’anno ha avuto una sorte di nuova vita distributiva grazie al dvd targato Ripley’s Home Video uscito lo scorso febbraio, e l’inclusione nella library di Amazon Prime Video che dimostra di avere sempre un apprezzabile occhio aperto su determinati prodotti del passato.

Ma proviamo a contestualizzare. Nel 1970 esce L’Uccello dalle Piume di Cristallo che in qualche modo crea un punto di svolta per il giallo all’italiana, dando vita ad un filone che alcuni definiscono di matrice argentiana. Saranno decine i titoli che, con risultati alterni, si rifaranno a quegli stilemi. Partendo dall’inserire animali nel titolo. A volte anche a casaccio o in maniera forzata.

Non è il caso de La Tarantola dal Ventre Nero, titolo che si ispira alla tecnica mortale con cui una particolare vespa uccide la tarantola, ovvero paralizzandola attraverso il veleno del pungiglione e squarciandole il ventre per deporre le proprie larve e permettere loro di cibarsi della carne della vittima (come ci verrà mostrato attraverso un filmato di natura documentaristica); tecnica che, a sua volta, viene in qualche modo ripresa dal misterioso killer su cui verte la trama del film di Paolo Cavara, che prima immobilizza le proprie vittime femminili infilzando loro uno spillone da agopuntura nel collo per poi sventrarle sanguinosamente con un pugnale mentre sono ancora vive ma angosciosamente inermi.

Barbara Bach in La tarantola dal ventre nero (1971)L’idea viene al produttore Marcello Danon, che nel suo background ha un cinema differente ma che viene incuriosito e attratto da quel nuovo filone. L’intenzione di Danon era quella di realizzare, attraverso la Da.Ma. (sua società di produzione), un film commerciale che raggiungesse il giusto compromesso con quella qualità a cui il produttore non era solito rinunciare. Motivo per cui contatta Tonino Guerra per sviluppare una sceneggiatura, autore impegnato che al tempo non poteva apporre il suo nome su prodotti di un certo tipo e che per questo fece il nome di Lucile Laks con cui collaborò in maniera invisibile – come raccontato da Lorenzo Danon, figlio di Marcello, in una piacevolissima intervista presente tra gli extra del suddetto dvd.

Criterio che si estende alla scelta delle altre maestranze. Dal regista Paolo Cavara, con un passato di documentari e ‘Mondo Movie’, a un direttore della fotografia del calibro di Marcello Gatti, passando per un compositore come Ennio Morricone che scrive le musiche (dirette da Bruno Nicolai) che nel tentativo di trasmettere inquietudine includono vocalisti che esalano un respiro.

Senza contare il cast capeggiato dal caratterino (per citare ancora Danon junior) di Giancarlo Giannini, astro nascente con già un bel po’ di roba alle spalle che gli garantisce il primo nome davanti al titolo nei credits iniziali, al cospetto di un parterre femminile di assoluto rispetto che include tre bond girl come Barbara Bouchet (Casino Royale, 1967), Claudine Auger (Thunderball, 1965) e Barbara Bach (La Spia che mi amava, 1977), ma anche Rossella Falk, Annabella Incontrera e Stefania Sandrelli, oltre ad una comparsata (non accreditata) di una giovanissima Eleonora Giorgi, al suo esordio cinematografico.

E’ proprio la componente femminile ad avere un ruolo capillare nella trama de La Tarantola dal Ventre Nero. Ad eccezione di un paio di uomini che finiscono tra le vittime collaterali, sono proprio le donne il focus delle attenzioni morbose e feroci di un killer sadico e sessualmente impotente.

Ezio Marano in La tarantola dal ventre nero (1971)In questo senso è determinante un prologo ben orchestrato da Paolo Cavara, bravissimo a settare il mood del film in un paio di scene iniziali incentrate su Barbara Bouchet. La bionda attrice tedesca mostra le proprie grazie (in un momento storico in cui le italiane erano ancora un po’ restie a farlo) nel corso di un massaggio pruriginoso in cui si diverte a provocare il povero masseur; nella sequenza successiva, vediamo la minuziosa preparazione dell’assassino senza volto che indossa dei guanti in lattice che fanno somigliare le sue mani a quelle di un manichino, sterilizza lo spillone sulla fiamma, apripista di quello che si rivela il momento omicidiario più cruento dell’intero film, con Cavara che si concentra sui dettagli della paralisi e dello sventramento.

Un paio di scene, quindi, che mettono in chiaro le caratteristiche di questo giallo all’italiana. La donna veicola una sensualità che non scade mai nell’erotico, nel volgare, in un film che anche nelle scene di nudo mantiene sempre un certo contegno; il sesso ed il corpo femminile sono la chiave delle ossessioni del killer, non un inserto gratuito per lo spettatore guardone. Sensualità e morte, considerando che anche – se non soprattutto – da quel punto di vista viene impostato il livello di violenza che contraddistingue gli atti di un assassino che lascia una scia di sangue e ferocia sul suo cammino nel corso di tutto La Tarantola dal Ventre Nero.

Influenze di Dario Argento, ma anche qualcosa di Mario Bava e forse pure di Umberto Lenzi, per un prodotto in cui Paolo Cavara riesce ad imprimere il suo stile, quel fare quasi documentaristico nei dettagli di morte ma anche nell’inseguimento a piedi che arriva sul grattacielo della San Paolo IMI a Roma (lo stesso utilizzato in una sequenza di Giornata Nera per l’Ariete, diretto da Luigi Bazzoni sempre nel 1971).

Il regista amalgama le varie quote, da quella predominante del thriller sanguinoso, agli accenni di noir urbano con particolare cura per gli interni (che includono lo stereo Brionvega RR126, progettato dagli architetti Castiglioni nel 1965, dal singolare design modulare), passando per il giallo procedurale con tanto di indagine, interrogatori e polizia scientifica che decodifica le varie tracce.

Un intreccio in cui i personaggi hanno il loro peso, dalle varie presenze femminili tutte molto diverse tra loro – donne dalla forte personalità che condividono solo la sorte sfortunata, al protagonista (del film e del nostro pezzo), il commissario Tellini interpretato da Giancarlo Giannini. Personaggio complesso, tratteggiato con approccio realistico.

Barbara Bouchet in La tarantola dal ventre nero (1971)Al suo disagio interiore, alla sua disillusione, viene dedicata la parte centrale de La Tarantola dal Ventre Nero, quella più riflessiva, compassata. Tellini è spossato, il susseguirsi degli omicidi lo avvilisce al punto da fargli pensare alle dimissioni, salvo tornare sui propri passi e venire finalmente a dama.

Ma a proprie spese, in un finale tesissimo in cui viene coinvolto in prima persona (sia affettivamente che fisicamente) in cui Giancarlo Giannini, fino a quel punto flemmatico e meditativo, lascia esplodere tutto il suo furore, la sua passione, in un confronto fisico assolutamente intenso di cui ti resta impresso il suo sguardo colmo di incredulità e rabbia, prima di un epilogo che lo vede confondersi tra la folla in maniera finalmente liberatoria.

L’identità del colpevole non punta al colpo di scena sconvolgente, la rivelazione è coerente con altri prodotti del periodo; c’è un discreto gioco di depistaggio, il soggetto incriminato fa parte del gruppo dei personaggi con lo spettatore che può provare ad intuirne l’identità, a differenza delle motivazioni che vengono confessate solo alla fine.

La Tarantola dal Ventre Nero esordisce in patria tra settembre e novembre del 1971. E’ un degno e valido esponente del giallo all’italiana, non a caso viene successivamente distribuito con buoni risultati anche all’estero. Nato come prodotto derivativo trova una sua identità grazie ad un piglio tecnico che imbastisce una confezione diligentemente patinata che non trascura storia e personaggi, contesto a cui contribuisce un protagonista bravo come Giancarlo Giannini che sarei stato curioso di vedere all’opera in un maggior numero di prodotti di genere dell’epoca che avrebbero senz’altro beneficiato del suo talento.

Di seguito trovate il trailer internazionale di La Tarantola dal Ventre Nero: