Voto: 9/10 Titolo originale: リング , uscita: 31-01-1998. Budget: $1,200,000. Regista: Hideo Nakata.
Dossier: Ring (Ringu) di Hideo Nakata, una VHS vi seppellirà
29/04/2021 recensione film The Ring - Ringu di William Maga
Nel 1998 il pubblico occidentale faceva un impatto frontale col J-horror attraverso il suo titolo forse più significativo, la cui eredità perdura ancora oggi per molti motivi
“Credo fermamente che un film molto giapponese diverso dagli altri possa facilmente oltrepassare i confini nazionali” (Hideo Nakata nella prefazione del libro “The Midnight Eye Guide to Japanese Film”)
Sono moltissime le storie legate alla prima visione da parte del pubblico di Ring (Ringu) di Hideo Nakata. Tuttavia, la maggior parte di esse ha poco a che fare con il suo film del 1998, quanto piuttosto col rifacimento ‘made in USA’ uscito nel 2002 e diretto da Gore Verbinski. Seduti in un cinema per assistere all’uscita dal pozzo di Samara, un evento che avrebbe di lì a poco generato un’ondata di remake hollywoodiani di titoli horror giapponesi, molti – forse – avranno pensato a quanto fosse innovativa e naturalmente spaventosa fosse quell’opera.
Sebbene altamente stilizzato e ripulito, The Ring dev’essere sembrato un gradito allontanamento dai molti meta-horror che avevano seguito le orme di Scream di Wes Craven (1996). Tuttavia, molti all’epoca non (ri)conoscevano che quelle idee e quelle immagini, che sembravano così uniche, provenivano in realtà quasi direttamente dalle menti dei registi giapponesi che giravano film come quello già da molti anni. Ma come avrebbero potuto saperlo?
Nomi come Takashi Shimizu, Hideo Nakata e Kiyoshi Kurosawa erano in gran parte sconosciuti agli occidentali, e i loro film sarebbero stati distribuiti solamente dopo che le loro controparti americane avrebbero incassato milioni di dollari e entusiasmato il pubblico in tutto il mondo.
Ora, oltre 20 anni dopo, la fame di J-horror si è praticamente placata. Nakata, Shimizu e Kurosawa sono rimasti per gran parte delle loro carriere all’interno dei confini nazionali e si sono ramificati in altri generi. Tuttavia, non si può negare il segno che titoli del calibro di Ring (Ringu), Kairo e Ju-On abbiano lasciato nel cinema horror moderno. Opere come The Conjuring, Paranormal Activity e It Follows ne sono state influenzate, a volte citando direttamente quei film, avvalorando lo status di quei registi all’interno del genere.
In ogni caso, tutto è iniziato con una ragazza dai capelli corvini che strisciava letteralmente fuori da un televisore. Oltre che da una VHS strano e inquietante. E da una telefonata in cui una voce affermava che la persona in ascolto sarebbe morta dopo sette giorni.
Prima che Hideo Nakata diventasse uno dei nomi più importanti del sottogenere J-horror, ha iniziato come tanti suoi colleghi, realizzando produzioni direct-to-video per uno dei principali studi cinematografici del Giappone. Lavorando per la Nikkatsu, Nakata ha diretto diversi titoli della nota serie di “Roman Porno”, per lo più film a basso budget che gli chiedevano di lavorare a un ritmo serrato. Inutile dire che il regista ha ricordi tutt’altro che piacevoli di questi tempi, soprattutto della quantità di stress accumulata sui set, così come pure della qualità media di alcuni di essi.
In un’intervista del 1999, Hideo Nakata ricorda il suo periodo all’università e i film che alla fine hanno ispirato il suo approccio al settore. Durante e dopo la sua permanenza alla Nikkatsu, molti dei suoi film mostravano già tracce del tipo di regista che sarebbe diventato. Forse il più importante di questi primi film è Don’t Look Up (1996), una sorta di precursore del tipo di tematiche trattate poi nei suoi successivi Ring (Ringu), Ring 2 e Dark Water. Hideo Nakata afferma che il film non è si è rivelato molto spaventoso per alcuni spettatori, soprattutto perché mostrava il volto completo del fantasma, un errore che non avrebbe commesso di nuovo, come dimostra il finale di Ring (Ringu). Allo stesso tempo, quel film dimostrava una certa consapevolezza del mezzo, una connessione tra la tecnologia moderna, il folclore giapponese e un chiaro senso di sventura, tutte caratteristiche essenziali per i titoli della saga di Ring.
Per molti aspetti, Ring (Ringu) di Hideo Nakata mostra non soltanto un regista al culmine del suo talento, ma anche uno dei rari casi di opere che trascendono le loro basi narrative. A parte il suo successo commerciale, Ring (Ringu) è un film horror molto insolito, poiché tratta il suo soggetto senza l’uso di jumpscare o di effetti sonori sensazionalistici (a differenza del suo remake americano).
Di seguito daremo uno sguardo a questo film del 1998, alle sue immagini e ai suoi temi, nonché a come sia ancora oggi uno dei migliori film horror – se non addirittura un dei migliori film in generale – degli anni ’90. In definitiva, Ring (Ringu) è un ritratto profondamente inquietante dell’alienazione, della famiglia e della tecnologia moderna, che presenta il Male come una forza inquietante che agisce non solo al di fuori di noi stessi, ma anche dentro ognuno di noi.
I. Il male interiore: i giovanissimi in Ring
Anche se gli adulti nel film giocano un ruolo importante, forse le parti più importanti in Ring (Ringu) (in entrambe le versioni) sono i personaggi più giovani, in questo caso Yoichi e Sadako. Mentre il primo è il figlio di Reiko, un giornalista investigativa che cerca di rivelare la verità dietro alla leggenda metropolitana della minacciosa VHS e della serie di omicidi di adolescenti a essa collegati, quest’ultima è il “mostro” (o boogeyman) del film. Oltre al loro legame con la tradizione dei bambini nei film dell’orrore e alla loro rilevanza, entrambi hanno anche uno scopo molto più significativo, evidenziando i temi dell’abbandono e dell’isolamento.
Considerando la sua ambizione come reporter, Reiko (interpretata da Nanako Matsushima) ha difficoltà a trovare il giusto equilibrio tra l’essere la mamma di Yoichi (Rikiya Otaka) e il suo lavoro. Innumerevoli volte, la comunicazione con suo figlio avviene tramite telefono, ad esempio, quando lei gli dice che non tornerà a casa in orario e che lui dovrà prepararsi la cena da solo. Sebbene non ci sia dibattito, lei ama suo figlio – le scene tra i due parlano da sole – ma c’è un forte senso di disconnessione tra madre e figlio, evidente nelle numerose volte in cui Yoichi viene mostrato isolato e da lontano. In uno degli esempi più ovvi, lui sta andando a scuola, guardando verso il suo appartamento, seguito da una ripresa di sua madre seduta nell’oscurità della loro casa che guarda ancora una volta il nastro della VHS. Quasi a sottolineare il crescente senso di straniamento, le persiane dell’appartamento sono chiuse.
Forse di conseguenza, Yoichi si è così abituato alla situazione cercando affetto negli altri membri della sua famiglia, rendendo la recente morte della cugina Tomoko, a causa della ‘maledizione di Sadako’, ancora più tragica.
Uno degli aspetti più interessanti del personaggio di Yoichi è il suo legame con Sadako. Sebbene la sceneggiatura di Hiroshi Takahashi sia molto vaga e lasci ancora molte domande irrisolte dal finale, i frammenti della storia passata di Sadako diventano ancora più rilevanti, specialmente per quanto riguarda la sua relazione con Yoichi, così come le sue vittime adolescenti all’inizio. Portata in giro per il paese insieme alla madre, ha assistito in prima persona alla crudeltà umana e alla negligenza. Nel tentativo di difendere sua madre dagli insulti di un giornalista, uccide l’uomo, venendo bollata come malvagia e come strega. Nei sequel di Ring (Ringu), viene rivelato che il dottor Ikuma (Daisuke Ban) l’aveva gettata in un pozzo, dove aveva trascorso i suoi ultimi giorni immersa nell’oscurità, fino alla morte.
Se il simbolismo del pozzo verrà ulteriormente spiegato in seguito, è una delle metafore più forti per il tipo di isolamento presenti nel film. Sadako è diventata un “peccato del passato” e Ikuma e altri non vogliono pensare di aver accettato il suo ruolo di “spirito malvagio” e una maledizione, una profezia che si autoavvera che hanno aiutato a diventare realtà.
Dal momento che entrambi hanno sperimentato abbandono e isolamento, non dovrebbe sorprendere che Yoichi provi una netta attrazione per lo spirito maligno. Come il Danny Torrance che vagava per i corridoi dell’Overlook in Shining o la Carol Anne che comunicava con l’aldilà in Poltergeist, Yoichi può essere visto più volte alla ricerca di questa specifica connessione. Durante il funerale di sua cugina, lui si avventura nella sua stanza, apparentemente alla ricerca di ricordi, ma trovando anche il luogo della sua morte.
Successivamente, lo si può trovare mentre guarda il video maledetto da solo, dopo averlo cercato tra le cose di sua madre. In effetti, la primissima immagine di lui nel film lo vede osservare lo schermo vuoto di un televisore, la fonte di gran parte della malvagità nel film, soprattutto perché è il percorso che Sadako usa per entrare nel mondo reale.
Visivamente, Hideo Nakata e il direttore della fotografia Junichiro Hayashi supportano la sensazione di isolamento e distanza inquadrando i personaggi leggermente fuori fuoco. L’oscurità o le strutture verticali mostrano ulteriormente questo tipo di straniamento, anche nei luoghi che questi personaggi chiamano ‘casa’. Ancora più importante, Reiko e suo figlio condividono lo stesso tipo di sensazione, il modo in cui entrano nella stanza di una delle vittime di Sadako è presentato quasi esattamente alla stessa maniera.
Tuttavia, poiché ogni personaggio vive nella sua sfera individuale, isolato dal resto, non c’è scampo da quella disconnessione che spiega la generale mancanza di calore – e colore – nel film, con solo poche eccezioni. Uno degli esempi più eloquenti è il primo incontro di Yoichi e Ryuji (Hiroyuki Sanada), l’ex marito di Reiko, con entrambi i personaggi uno di fronte all’altro sotto la pioggia e poi nell’atto di pasciarsi senza aver detto una parola.
II. Acqua e tempo in Ring: stati transitori verso l’ignoto
Considerando la già citata freddezza evidente nella rappresentazione delle relazioni e nelle immagini del film, forse non dovrebbe sorprendere di trovare l’acqua e la pioggia come specificità ‘visive’ ripetute all’interno di Ring (Ringu). La pioggia è la compagna audiovisiva di molte scene, come il primo incontro di Yoichi e suo padre, ma anche una realtà ineludibile per gli abitanti dell’isola di Oshima, possibile fonte dell’origine di Sadako. Infine, è anche parte integrante dell’ultimo luogo di riposo di Sadako all’interno del pozzo, ma anche una caratteristica decisiva nella sua maledizione e nel modo in cui lei prende le sue vittime.
In generale, il modo in cui elementi come il tempo e l’acqua sono rappresentati nel mondo di Ring (Ringu) può essere visto in altri film del J-horror. Più significativamente, Dark Water di Hideo Nakata (2002), anch’esso basato su un romanzo di Koji Suzuki, descrive l’acqua come un legame fondamentale tra l’Aldilà e la nostra realtà. Allo stesso tempo, è anche portatrice di morte e decadenza, evidente nello stato del condominio al centro del film o nello stato del cadavere di Sadako alla fine di Ring (Ringu). All’interno di un quadro molto più ampio, le opere di Takashi Shimizu, Hideo Nakata e Kiyoshi Kurosawa condividono un approccio simile verso questi elementi, presentandoli come agenti del caos e del Male.
Nel caso specifico di Ring (Ringu) il passaggio delle immagini delle onde del mare al rumore bianco della televisione è un’anticipazione della fatale connessione tra questi due temi portanti. Questa comprensione della natura che ci circonda è parte del folklore e della cultura giapponese tipica. Tuttavia, all’interno della definizione del genere, c’è un altro aspetto riguardante il tipo di paura che Ring (Ringu) – e anche altri titoli del J-horror – vogliono evocare.
In sostanza, molti critici e autori concordano su un punto quando si tratta del primo Ring (Ringu): la sua mancanza di spiegazioni. Come accennato prima, molti aspetti della storia, parti dell’origine di Sadako, per esempio, o la natura dei suoi poteri psichici, non possono essere spiegati guardando solo il primo film. È interessante notare che il remake americano, tentando di riempire alcuni di questi “buchi di trama”, toglie anche molto di ciò che rende la stessa storia tanto inquietante nelle mani di Hideo Nakata.
Ancora più importante, è il concetto di paura come un elemento paragonabile all’acqua, che infuria dentro di noi oltre che essere in grado di prendere il controllo di un oggetto esterno, come ad esempio il nastro di una VHS. Naturalmente, questo ha anche reso Ring (Ringu) uno dei bersagli più facili per la satira, come accade nella serie Scary Movie.
La paura e il Male sono sempre vicini a noi, sono maree che ci circondano, ma i personaggi di Ring (Ringu) sembrano cercare la loro vicinanza, ad esempio, quando Takashi (Yoichi Numata) trascorre ore sulla spiaggia a guardare l’Oceano. L’immagine ricorda molto quella di Ellen Hutter (Greta Schröder) in attesa dell’arrivo del vampiro nel Nosferatu di Friedrich Wilhelm Murnau. Anche se Takashi e la Hutter temono ciò che potrebbe portare con sé l’apparizione del mostro, sembrano anche percepire (quasi bramare …) l’arrivo del Male. Naturalmente, l’acqua o l’oceano come metafora eterna di un ponte verso il metafisico sono il luogo quasi logico in cui cercare questo tipo di vicinanza. Inoltre, queste immagini e il suono delle onde enfatizzano quel di tipo di tono fatalista – molti autori addirittura dicono “apocalittico” – di Ring (Ringu).
Un’altra caratteristica strettamente legata alla raffigurazione dell’acqua è la definizione del tempo in Ring (Ringu). Che si tratti del periodo di una settimana prima che Sadako reclami la sua prossima vittima o dell’onnipresente conto alla rovescia dei giorni rimasti a Reiko per risolvere il mistero e salvare la sua famiglia, la struttura generale di Ring (Ringu) sottolinea le idee di urgenza e inevitabilità. Tuttavia, Ring (Ringu) non è un film teso ai semplici brivido o suspense, soprattutto visti i suoi momenti a volte contemplativi e alla narrazione complessivamente stranamente calma.
Per personaggi come Reiko o Ryuchi, il tempo, passato e presente, rimangono caratteristiche ancorate al loro mondo fisico, fattori decisivi di vita e di morte, mentre Sadako ha raggiunto uno stato oltre questi limiti. In effetti, ha anche oltrepassato i confini dei ricordi, poiché può letteralmente raggiungere i regni del passato nel presente e lasciare il segno.
Forse la peculiarità più terrificante di Sadako è che la sua maledizione non consiste solo nell’uccidere gli altri, ma in realtà cancellarli dalla memoria del mondo. I volti delle sue vittime portano il suo ‘marchio di fabbrica’, una tremenda smorfia di terrore che ne distorce i lineamenti, proprio come le loro immagini impresse sulle fotografie dopo aver visto il video. Poiché il mondo l’ha abbandonata, così come ogni ricordo di lei e di sua madre, il suo passaggio nel mondo fisico si traduce nella distorsione del tempo, della memoria e delle persone che certi personaggi apprezzavano e amavano. Tuttavia, poiché gli elementi hanno assunto una forma diversa in questo mondo moderno e altamente tecnologico, è naturale che i media odierni debbano fungere da “nuovo” connettore tra il metafisico e la realtà, tra la morte e la vita.
III. Un canale verso il nostro futuro: il nastro della VHS maledetta
Sembra allora sensato che un’entità come Sadako trasferisca la sua maledizione su un supporto fisico come una VHS ed entri nel mondo fisico attraverso un televisore. Nel breve filotto di J-horror che inizia negli anni ’90 con il film di Hideo Nakata, molte opere possiedo toni piuttosto fatalisti, o almeno scettici nei confronti dei media, dalla televisione e di Internet. Più significativamente, i film di Kiyoshi Kurosawa, in particolare Kairo (la recensione), si sono sviluppati da un rip-off come The Guard from the Underground (1992) a una combinazione di tradizioni giapponesi e dubbi folcloristici sulla tecnologia e sulla cultura adolescenziale.
Sia Ring (Ringu) che Kairo condividono questo tono piuttosto inquietante e ambivalente, dato il loro finale che sembra suggerire che il vero Male sia già fuggito nel mondo reale e si diffonderà come un virus verso tutti. È interessante notare che nell’ultimo capitolo del franchise di Ring (The Ring 3 del 2017), la maledizione di Sadako – o meglio il famigerato video – è stato ormai caricato sul web, rimanendo comunque fedele allo spirito pessimistico del capostipite.
Tuttavia, la fisicità della maledizione, la videocassetta, può avere una connotazione più profonda del “semplice” scetticismo verso i media. Mentre molti altri film di quel periodo sono invecchiati piuttosto male, la VHS di Ring (Ringu) non ha perso il suo fascino inquietante e anzi ha rilanciato, aggiungendo fascino alla natura inquietante della maledizione di Sadako e della sua capacità di attraversare i confini di tempo e spazio. Molto di questo ha ovviamente a che fare con il tipo di immagini che il nastro mostra, il suo uso della granulosità e i flash enigmatici, quasi surrealisti.
In combinazione con la storia personale di Sadako – o almeno i frammenti riportati nel primo film – le immagini sottolineano il legame con la mitologia greca, in modo più significativo con la leggenda di Cassandra e la figura dell’indovino cieco Tiresia. Inoltre, con quel tono specifico del finale, non può essere considerato un messaggio dal passato, ma piuttosto un messaggio profetico di un futuro che si è avverato nel momento in cui la prima persona si è seduta davanti a un televisore e ha guardato la videocassetta maledetta. Secondo Hideo Nakata, la televisione è un “passaggio verso l’inferno”, un tunnel (catodico …), molto simile al pozzo, verso il Male assoluto, l’odio e la rabbia.
Molti critici e autori hanno accennato all’ovvio parallelismo tra film come Videodrome di David Cronenberg e Ring (Ringu) per quanto riguarda il loro approccio ai media moderni. Anche se questa lettura potrebbe servire a coloro che considerano quello del 1998 come una sorta di meta-horror, c’è una netta differenza. Se prendiamo ad esempio le immagini più iconiche di entrambi i film, in questo caso Sadako che striscia fuori dalla televisione e il personaggio di James Woods che viene ‘risucchiato’ al suo interno, l’opera di Hideo Nakata alla fine perde la sua enfasi sulla critica e considera l’apparecchio, proprio come l’acqua e l’Oceano, come una ‘via di fuga’.
Per quanto riguarda invece Videodrome, David Cronenberg sembrava essere molto più interessato alle ripercussioni della televisione come fenomeno culturale e al modo in cui influenzava l’umanità, in particolare i nostri corpi, rivelandosi in tal senso un critica piuttosto acida sulla cultura dei media consumistici. In Ring (Ringu), i media fisici aiutano a spargere un messaggio da cui non possiamo allontanarci e che determinerà il nostro tempo rimasto su questa Terra, prevedendo un possibile futuro che noi non siamo affatto in grado di prevenire, dato che abbiamo solo una settimana ancora da vivere.
Conclusione
Nel 2018, Ring (Ringu) di Hideo Nakata ha festeggiato il 20° anniversario della sua uscita nei cinema. Guardando al cinema horror di oggi, la sua influenza è innegabile e probabilmente continuerà per molti anni a venire ancora, ma soprattutto perché la tecnologia moderna continua ad espandere gli orizzonti dei nostri sensi e delle nostre conoscenze. Il suo tono cupo, le sue immagini e la sua interpretazione della Natura come forza del Male definiscono Ring (Ringu) come una delle voci più memorabili della breve era del J-horror. All’interno del genere resta un lavoro di notevole abilità e talento, che ha fatto per le VHS quello che Psycho di Alfred Hitchcock aveva fatto per le docce e Lo Squalo di Steven Spielberg per i ‘grandi bianchi’.
Eppure, proprio come i protagonisti di Ring (Ringu), noi non possiamo rinunciare al nostro desiderio di essere vicini alle nostre paure, alla nostra morte, alla paura e alla nostalgia delle conseguenze di ciò che potrebbe accadere. Alla fine, abbiamo solo sette giorni per scoprirlo prima che il suono acuto degli violini e il rumore bianco determinino il nostro destino.
Di seguito trovate il noto video integrale di Ring (Ringu) impresso sul nastro, da guardare a vostro rischio e pericolo:
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