Voto: 5/10 Titolo originale: Escape Room , uscita: 03-01-2019. Budget: $9,000,000. Regista: Adam Robitel.
Escape Room: la recensione del film horror di Adam Robitel
28/02/2019 recensione film Escape Room di Sabrina Crivelli
Il regista porta al cinema il gioco di fuga dal vivo del momento, appoggiandosi a soluzioni ampiamente derivative e dimenticandosi sangue e spaventi
Dopo aver spremuto fino all’osso i parchi divertimento a tema horror (dall’ultimo Hell Fest ai precedenti Halloween Night, Hell House LLC, American Fright Fest ecc.), c’era da aspettarsi che Hollywood si dirigesse verso il recente fenomeno delle ‘escape room’ – piuttosto popolare anche in Italia ormai – per garantirsi nuove ambientazioni al passo coi tempi e di sicuro impatto sul pubblico adolescente.
Per chi fosse digiuno del soggetto, si tratta di un gioco di ruolo immersivo, che prevede che un gruppo di concorrenti, rinchiusi dentro una stanza (a volte anche più di una), debbano risolvere entro un tempo limitato una serie intricati indovinelli per poter uscire e quindi vincere la sfida. Ed è così che arriva ora nelle sale Escape Room (titolo chiaro e diretto, per evitare ogni dubbio), sorta di thriller psicologico teen con ben poco sangue diretto da Adam Robitel (The Taking of Deborah Logan e Insidious – L’ultima chiave) e scritto da Bragi F. Schut e Maria Melnik.
Se dovessimo definire il film con una parola, altamente derivativo sarebbe certo la scelta di parole più adatta. Sin dai primi fotogrammi, vengono infatti confermate ampiamente le sensazioni già palesatesi coi trailer promozionali. Chiunque abbia una qualche cultura in termini di cinematografia horror ha subito la percezione di essere davanti a qualcosa di già visto altrove, e meglio. Qualche buona intuizione, qualche trovata succosa qua e là emerge pure, ma non c’è nulla in Escape Room che rimanga davvero impressa nella mente dello spettatore meno svogliato.
La trama è piuttosto semplice: un gruppo di sei sconosciuti, lo sbandato Ben (Logan Miller), la timida e geniale Zoey (Taylor Russell), il giovane e rampante banker Jason (Jay Ellis), la sfuggente Amanda (Deborah Ann Woll), l’ex minatore Mike (Tyler Labine) e l’adolescente nerd Danny (Nik Dodani), si incontrano per la prima volta all’interno dell’altissimo palazzo della Minos.
Ciascuno di loro ha ricevuto un misterioso e personalissimo invito (simile alla barkeriana Scatola di Lemarchand purtroppo solo nella forma, non nella sostanza …) a partecipare a una segretissima Escape Room, al cui vincitore verranno assegnati 10.000 dollari di premio.
Tuttavia, dopo pochi minuti in quella che sembra una comune sala d’aspetto, i protagonisti – spiati da numerose telecamere a circuito chiuso – si rendono conto che il gioco e i pericoli che li attendono sono assai più reali di quanto si aspettassero. Dovranno quindi collaborare per raccogliere tutti gli indizi, risolvere gli indovinelli e cercare di sopravvivere una stanza della morte dopo l’altra, fino alla auspicabile salvezza dietro l’ultima porta.
Se naturale è l’adesione ai canoni delle escape room, il poco immaginifico script pesca tuttavia oltremodo dalla saga di Saw (d’altronde il regista del capostipite, James Wan, compare anche in Escape Room nel ruolo di produttore) e dal memorabile Cube – Il Cubo (Cube) di Vincenzo Natali, mescolando agli enigmi letali del primo (qui non sussiste la questione della ‘meritata punizione’ dei soggetti) il tentativo di raccapezzarsi attraverso un dedalo di stanze mortali del secondo (scordandosi di replicarne le atmosfere claustrofobiche e angoscianti).
Gli sceneggiatori sembrano comunque aver guardato anche a Quella casa nel bosco di Drew Goddard e a The Belko Experiment di Greg McLean, giusto per tranquillizzare tutti quanti che di ‘fresco’ ci fosse solamente l’idea di sfruttare cinematograficamente il gioco di ruolo del momento.
Certo, quasi tutte le diverse stanze sono ideate con un certo estro creativo, alcune di più, come la terza (sottosopra) e la penultima (psichedelica), alcune molto meno, come quella finale. Delude in ogni caso la totale banalità e sciattezza delle morti, sia nella modalità in cui sono pensate, sia – e soprattutto – nella maniera piatta e totalmente priva di empatia e specialmente splatter in cui sono inscenate (c’è un limite anche per i PG-13 …).
La gran parte di esse deriva infatti più dalla casualità, e tutti i dettagli succosi vengono sfortunatamente lasciati all’immaginazione del pubblico.
D’altra parte, in Escape Room non viene nemmeno costruita particolare tensione nella soluzione o complessità nell’elaborazione delle soluzioni dei rompicapi. Gli ambienti si susseguono uno dopo l’altro meccanicamente e in una manciata di minuti (salvo per la prima – lunghissima – stanza) tutto viene svelato.
Non assistiamo a machiavelliche macchinazioni elucubrate da sceneggiatori genialoidi, che avrebbero garantito di riflesso se non altro un’affascinante esperienza ‘mentale’ per gli spettatori delusi dall’assenza di sani spaventi. In tutto ciò, i personaggi sono chiaramente stereotipati al massimo, con un mistero che naturalmente li accomuna tutti quanti, ma gli attori scelti per incarnarli portano a casa prestazioni per lo meno digeribili.
Ma teniamo per ultime quelle che forse sono le due note più dolenti e sconcertanti: non solo Escape Room comincia dalla fine, svelando subito il volto del personaggio che arriverà all’ultima stanza, ma Adam Robitel – e la Warner Bros. – hanno anche la faccia tosta di rivelare già col primo film chi stia dietro al perverso ‘passatempo’ e di giocarsi l’aperto riferimento al sequel (già entrato in produzione visti i ragguardevoli incassi, 120 milioni di dollari nel mondo a fronte di 9 milioni di budget) addirittura prima dei titoli di coda, in un sequenza conclusiva che tradizionalmente sarebbe, almeno per galanteria, normalmente finita dopo i credits.
Di seguito il trailer italiano di Escape Room, nei nostri cinema dal 14 marzo:
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