Voto: 4/10 Titolo originale: The Reckoning , uscita: 05-02-2021. Regista: Neil Marshall.
The Reckoning: la recensione del film sulla stregoneria di Neil Marshall
17/10/2020 recensione film The Reckoning di Sabrina Crivelli
Il regista inglese torna sulle scene compiendo un incredibile passo falso, riconducibile soprattutto all'infelice collaborazione con la sua giovane fidanzata Charlotte Kirk, inadeguata protagonista e co-sceneggiatrice
L’inglese Neil Marshall ha avuto i suoi alti e bassi in carriera. C’è chi lo ricorda con entusiasmo per The Descent – Discesa nelle tenebre (la recensione), chi ha apprezzato l’eccentrico Doomsday – Il giorno del giudizio, chi ha trovato qualcosa di positivo nel recente remake di Hellboy (la recensione). Il suo ultimo lavoro, The Reckoning, tuttavia metterò quasi sicuramente tutti d’accordo. Presentato in anteprima al Festival di Sitges 2020, l’unica cosa che si può fare a fine visione è domandarsi che cosa abbia portato il regista a girare qualcosa di così incredibilmente disastroso.
Il concept, almeno sulla carta, è promettente, visto che sarebbe ispirato a fatti realmente accaduti (almeno è quanto promesso nei titoli si testa). Tuttavia, l’ambientazione e il modo in cui gli eventi sono descritti sembrano assai fantasiosi e decisamente poco ‘filologici’, tanto da oscurare l’intento di condannare un’epoca oscura e imbastire un discorso sulla forza delle convinzioni di chi è nel giusto e si immola consapevolmente per questo.
Inghilterra, 1665. In una fattoria dispersa nel mezzo delle campagne si consuma una tragedia: Joseph (Joe Anderson), dopo aver scoperto di aver contratto la peste, si impicca a un albero al confine della sua proprietà. È la moglie, la bella e fedele Grace Haverstock (Charlotte Kirk), a trovare il cadavere che penzola ancora dalla corda e a seppellirlo in una fossa da lei stessa scavata sotto una pioggia battente. La donna, ora, è rimasta sola e con una neonata da sfamare.
Senza più la protezione del marito, il signorotto locale, il viscido quanto stereotipato Pendleton (Steven Waddington), le inizia a fare una serie di indesiderate avance e, quando lei si rifiuta, lui la accusa di stregoneria. Segue un processo con tanto di Inquisitore, e non uno qualsiasi, ma il celebre Moorcroft (Sean Pertwee), rinomato in tutta la zona per i suoi metodi estremi e il suo rigore. Piegherà la volontà della pervicace e risoluta Grace e la farà confessare a ogni costo un peccato che lei sa di non aver commesso.
La stregoneria nel tempo è stata trasposta al cinema in modi molto diversi. In alcuni casi si è trattato di una narrazione oscura, ostica e scioccante, come nel fieramente indipendente Hagazussa – La Strega di Lukas Feigelfeld (la recensione), in cui la genesi di una strega si sviluppava tra isolamento, persecuzione e magia nera. Oppure, esiste l’approccio suggestivo e angosciante di The Witch di Robert Eggers (la recensione).
O ancora, abbandonando i sentieri più dichiaratamente horror per il dramma storico, L’ultimo inquisitore di Miloš Forman affrontava la carcerazione e la tortura di una donna spagnola alla fine del ‘700. Infine, ci sono opere ibride, che pur non attingendo al soprannaturale mettono in scena l’orrore insito nella storia in maniera morbosa, sanguigna, come il britannico Il grande inquisitore (Witchfinder General) di Michael Reeves.
Ebbene, The Reckoning non segue nessuna di queste strade, ma si relaziona all’immaginario e alla storia della stregoneria in maniera banalizzante, avanzando per cliché posticci, e allo stesso tempo estremamente bizzarra. Le ‘stramberie’ abbondano a ogni livello. Anzitutto c’è l’ambientazione: una posticcia ricostruzione di fattoria e borgo medioevali inglesi con tanto di pub frequentato dai beoni locali, castelletto di pietra con arazzi e camino, e patrie prigioni con celle sudice e in costante semi ombra, popolate di topi e qual e là corredate di ragnatele varie.
C’è perfino la gitana locale che si aggira leggendo la mano (pratica estremamente pericolosa visti i tempi che correvano …), Insomma, più che un luogo reale (o per lo meno realistico) sembra che il film sia ambientato in un parco a tema della Disney (oppure abbia preso in prestito la scenografia da una versione porno in costume de Il Trono di Spade).
A ciò si aggiunge una galleria di personaggi macchiettistici. In primis c’è il villain principale di The Reckoning, Pendleton (e proprietario della tenuta in cui Grace è in affitto) che tiranneggia gli abitanti e insidia e ricatta le vedove avvenenti. Summa di ogni difetto, la caratterizzazione del possidente locale è talmente stereotipata ed elementare che sarebbe considerata una lettura semplicistica perfino in una favola per bambini in età prescolare.
Poco può allora il povero Steven Waddington (Il mistero di Sleepy Hollow, “I Tudors”), attore di cinema, televisione e teatro (fece parte nel 1989 della prestigiosa Royal Shakespeare Company). La sceneggiatura incredibilmente scadente e pigra (scritta a quattro mani da Neil Marshall con la fidanzata, proprio Charlotte Kirk, e ciò potrebbe spiegare molte cose a essere malevoli …) rende al poverino impossibile rendere anche solo vagamente credibile e dare un minimo di complessità psicologica al ruolo che gli è stato destinato.
Lo stesso vale per il grande Inquisitore, incarnato da Sean Pertwee (che aveva già lavorato con Neil Marshall in Dog Soldiers) è una ridicola caricatura. Totalmente privo di carisma o autorità (scordatevi il Javier Bardem di L’ultimo inquisitore), il massimo che fa è bisticciare con l’inquisita a colpi di scambi come “Piegherò la tua coscienza!”, “No, non la piegherai mai!”, “Si, ti dico che la piegherò!” (vi lasciamo immaginare chi la spunti alla fine).
E poi ci sono tutti gli altri personaggi di contorno. Il microcosmo dell’assurdo che popola The Reckoning, oltre ai citati villici da taverna e alla folkloristica zingara, prevede il braccio destro armato – e decisamente sfregiato – dell’Inquisitore, il garzone un po’ tardo e grassottello ma in fondo di buon cuore e, capolavoro assoluto del ridicolo, il mentecatto del paese – ovvero l’ex prete del paese impazzito – che farnetica spiegoni a cadenza ciclica declamando l’imminenza della fine del mondo dall’interno di una sudicia cella. A completare il quadro, non bastasse, ci sono il fantasma invadente dell’amico defunto, la madre, sempre deceduta tempo prima, e un demone / Satana pervertito che pare uscito da Tenacious D e il destino del rock che popolano le visioni mistiche della povera Grace; e con lei giungiamo al punto più dolente.
La protagonista di The Reckoning poi è letteralmente comica, ai limiti di una parodia horror di serie B, ma – importante evidenziarlo – non vuole assolutamente esserlo. Le sue battute sono un coacervo di banalità e retorica spiccia professate costantemente con un’enfasi da melodramma. Ne risulta un ibrido tra la mogliettina (sexy) perfetta, una Giovanna d’Arco dei poveri, e una final girl in abito damascato. Insomma, la sua natura è decisamente ‘poliedrica’.
Anzitutto c’è il lato arrapato. Più volte viene riprodotta la medesima scena erotica con l’adorato consorte scomparso, e si tratta di flashback, o meglio un ricordo, mentre gli sta scavando la tomba, o di sogni da galeotta, dopo l’ennesima sessione di terribili torture (più che mostrare, però, si lascia intendere).
In un caso o nell’altro, si tratta di fantasie del tutto inappropriate al doloroso momento che vive! Lo rappresenta alla perfezione una delle sequenze iniziali, quando seppellisce il marito. Mentre scava la nuda terra sotto una pioggia battente con il cadavere a due passi le viene in mente, in loop, l’ultima ‘cavalcata’, che peraltro sarà poi riproposta a casaccio in diverse altre digressioni. A ciò si sommano le tentazioni a luci rosse di un grosso diavolo verdastro, che più che terrorizzanti ricordano i segmenti di un film soft core (per non suscitare però aspettative inutili va sottolineato che di nudo si vede poco o niente, giusto una volta il lato b di Charlotte Kirk).
Inoltre, c’è la Grace in versione Martire e Santa, votata a un percorso di Passione (ma poco cristiana). Qui sopraggiunge un ulteriore – e forse più grave – problema: la totale inabilità a recitare un ruolo così sfaccettato e drammatico da parte della 28enne australiana (vista peraltro nel recente Ulysses: A Dark Odyssey). Viene così da pensare che abbia ottenuto la parte esclusivamente per la sua relazione sentimentale con il regista.
Tra smorfiette infantili, sopracciglia corrucciate e labbra serrate, le scene più tese di The Reckoning si trasformano così in una recita scolastica o poco più. Per dirla alla Boris, qui siamo di fronte indubbiamente a “una cagna maledetta”. In ultimo c’è la sezione ‘revenge’ che la vede d’improvviso rinsavita di tutte le sue ferite e tramutata in una medioevale final girl con tanto di arcaica arma da fuoco, più nello specifico una sottospecie di archibugio che peraltro lei carica e maneggia senza alcun indugio.
Insomma, una catastrofe su quasi tutta la linea. ‘Quasi’ perché Neil Marshall – che sceglie curiosamente di aprire The Reckoning nello stesso modo di Hellboy, con un prologo in bianco e nero e la brutale morte di una strega (o presunta tale) – prova a rialzare la testa nell’ultimo atto, dando libero sfogo a momenti splatter e di pirotecnico caos, come la testa di un uomo spiaccicata da un carro o un’avversaria che si lancia in fiamme su un carro, che all’impatto esplode.
Troppo poco comunque per salvare un’opera estenuante (ben 111 minuti), tediosa, ridondante, mal recitata e, soprattutto, disastrosamente televisiva, un terribile e inaspettato passo falso su tutti i fronti per Neil Marshall, che ora dovrà fare davvero molti di più che flagellarsi pubblicamente per redimersi.
Di seguito il trailer internazionaledi The Reckoning:
© Riproduzione riservata