Voto: 4/10 Titolo originale: Curon , uscita: 10-06-2020. Stagioni: 1.
Curon (stagione 1) | La recensione della serie fanta-mistery altoatesina (di Netflix)
05/06/2020 recensione serie tv Curon di Sabrina Crivelli
Lo show con Valeria Bilello girato sul Lago di Resia getta alle ortiche l'intrigante mitologia locale optando per i soliti cliché, per un risultato ben poco originale o spaventoso
Netflix, tra i suoi innegabili pregi, ha quello di sostenere prodotti di genere non mainstream, sia distribuendo in esclusiva titoli di genere vincitori di festival internazionali come Il Buco (la recensione), che investendo direttamente in film e serie originali come Apostolo (la recensione) o Dark. Tuttavia, la situazione non è altrettanto entusiasmante se ci si concentra sulle produzioni nostrane. Se il recente Luna Nera (la nostra recensione), con il suo mix di fantasy, stregoneria e dramma da sceneggiato di bassa lega rasentava il grottesco, l’ultimo prodotto ‘made in Italy’ di stampo mistery lo supera – e non era facile – di gran lunga. Stiamo parlando di Curon, show in 7 episodi da circa 40 minuti ognuno il cui trailer aveva generato un certo – non del tutto immotivato – interesse.
Diretta da Fabio Mollo (Il padre d’Italia) e dalla praticamente esordiente Lyda Patitucci, e prodotta dalla Indiana Production, la serie prende spunto da alcuni elementi indubbiamente affascinanti. Per prima cosa c’è l’ambientazione: un suggestivo comune dell’Alto Adige in provincia di Bolzano, Curon Venosta per l’appunto, il cui borgo antico (composto da 163 case private e 523 ettari di terreno coltivato) fu sommerso negli anni ’50 dopo dopo la costruzione di una diga e la conseguente creazione di uno specchio d’acqua artificiale che unificò due precedenti bacini. L’abitato, perciò, venne ‘spostato’ a monte, non senza suscitare molte polemiche da parte della popolazione del posto. Nacque così il pittoresco Lago di Resia, da cui emerge solamente il campanile della chiesa del 1357, conferendo al panorama un che di spettrale. Insomma, il luogo ideale per una storia di funeste apparizioni, maledizioni millenarie, leggende inquietanti e morti inspiegabili.
L’innato vantaggio estetico delle location (le riprese sono state realizzate nei luoghi reali, senza ricostruzioni in studio) e gli intriganti racconti del folklore autoctono, tra cui quelli sul rintocco spettrale di campane rimosse anni prima (che preannuncerebbero la morte imminente di chiunque le senta) non sono però – purtroppo – sufficienti a confezionare un thriller ben riuscito. Soprattutto se sono inseriti in una trama ridicola, una sceneggiatura farraginosa – ad opera di Ezio Abbate (Suburra – La Serie), Giovanni Galassi, Ivano Fachin e Tommaso Matano, e affiancati ad una recitazione e direzione del cast decisamente carenti e da una regia e un montaggio maldestri. In sostanza, quello che in precedenza avevamo detto per Luna Nera, è assolutamente valido anche per Curon, con l’aggravante che, se almeno la prima era a tratti quasi divertente (involontariamente, ovvio) nella sua ingenuità e faciloneria e aveva una certa fantasia negli sviluppi narrativi, la seconda è anche priva di suspense e tensione (peccato mortale, visto il genere a cui vorrebbe appartenere).
Pastiche petulante e prolisso (almeno 20 minuti per ogni episodio sono di troppo, divagazioni inutili per rimpinguare grossomodo la durata), Curon si apre con l’arrivo di Anna (Valeria Bilello) e dei suoi figli, i gemelli Daria (Margherita Morchio) e Mauro (Federico Russo) nella cittadina natale. La donna, infatti, scappata ancora adolescente dopo un evento tragico e inspiegabile che la sconvolse (che vediamo nei primissimi fotogrammi della 1×01), decide di far ritorno alla magione paterna (un lugubre albergo), dopo aver abbandonato – per ragioni mai chiarite del tutto – Milano e l’ex marito. Bisognosa d’aiuto, una volta arrivata a destinazione l’accoglienza non è però quella che si aspetterebbe; anzi, Thomas (Luca Lionello), il padre, non appena varcata la soglia le grida di andarsene con fare sinistro quanto misterioso. Lei però non pare seguire il ‘suggerimento’. Al contrario, la mattina seguente iscrive (?) i ragazzi nella scuola del paese giusto prima di sparire nel nulla.
Sarà andata in montagna? Le sarà accorso un incidente? Oppure si tratta di qualcosa di molto più oscuro? Intanto, i giovani Anna e Mauro cercano di gestire la scomparsa della madre, la convivenza con il burbero nonno e il difficile adattamento alla loro nuova residenza (i paesani li guardano con occhi ostili, essendo loro ‘cittadini’). In tutto ciò, proprio in concomitanza del loro arrivo – guarda caso – iniziano a susseguirsi fatti strani e inquietanti, come altre sparizioni e morti brutali. La ricerca di Anna spinge quindi i gemelli a cercare di fare luce sul passato della loro famiglia e dei loro antenati, nonché sui molti misteri legati alla storia di Curon stessa.
Quella che potrebbe sembrare una suggestiva dark tale che scava nelle radici torbide di un tranquillo paesino di montagna, assume improvvidamente in Curon i contorni di un teen drama alla Skam (altra serie distribuita da Netflix), con tanto di problemucci amorosi para-adolescenziali, ricerca di una definita identità sessuale nel periodo della crescita, qualche tocco di bullismo e i soliti attriti intergenerazionali (genitori-figli) e coniugali. Il tutto è incentrato su situazioni e tipi psicologici standard monolitici e prevedibilissimi, tra cui la ragazzina forte e ribelle di città, la madre fragile ma combattiva (e per fortuna che gli sceneggiatori si sono premurati di affermare in occasione del FeST – Il Festival delle Serie TV che hanno cercato di evitare di renderla secondo i soliti stereotipi di genere …), la moglie repressa, il marito distaccato e padre crudele, gli autoctoni superstiziosi e ostili con i nuovi arrivati. La sagra (altoatesina) del cliché.
Non bastasse, il tutto è sviluppato in dialoghi senza senso, al limite del ridicolo, peraltro professati con inusitata solennità. Un esempio? Anna porta i figli a scuola, con tanto di musica elettronica buttata lì a caso in sottofondo. Davanti all’entrata dell’istituto, Albert (Alessandro Tedeschi), una vecchia fiamma di lei la raggiunge per salutarla tutto sorridente e scambiare due convenevoli dopo anni che non si vedevano. La donna, però, senza alcuna ragione, lo guarda tra lo sconvolto e il cagnesco e risponde secca: “Scusa, per loro è un giorno importante!”, come se lo scambiare due parole col poveretto ledesse la quiete interiore della prole. Lui, spiazzato, non può far altro che farfugliare qualcosa e ritirarsi mesto.
Arriviamo poi alla vena horror paranormale. Per evitare di privarvi delle già parche sorprese di Curon, non ci soffermeremo sul cuore dell’enigma e la sua risoluzione. Tuttavia, ci preme sottolineare che il terribile segreto della piccola comunità è più volte introdotto con grande enfasi da scambi di battute grotteschi espressi in primi piani e campi e contro campi ‘iperespressivi’ (ai limiti della parodia) con tanto di stacco ritardato per enfatizzare con la mimica facciale degli attori le parole appena declamate. Il paese e i boschi circostanti, di notte, hanno un che di sinistro? Bisogna allora assolutamente esplicarlo a voce alta allo spettatore che potrebbe non coglierlo da solo la situazione. Riportiamo la descrizione di una scena di esterno in notturna:
Mauro: “Ma perché tutti questi ceri?”
Daria: “Più che altro perché tutti questi crocifissi?”
Mauro: “Fa paura …”
Thomas (con enfasi): “Per tenere lontane le ombre!”
Il tutto condito con un bel tema musicale che sprizza “tensione” da tutte le note. Ridondanza portami via. Quanto detto vale ostinatamente per tutti gli episodi di Curon, non solo in quello introduttivo. Ai grossi problemi di recitazione, regia e dialoghi vanno poi aggiunti uno sviluppo della trama del tutto casuale e forzato, azioni dei personaggi illogiche (Scary Movie in confronto è credibile …), piccoli e grossi buchi di copione (il padre dei gemelli, la maledizione di famiglia, i misteriosi visitatori …) derivanti in alcuni casi da elementi fondamentali della storia mai sviluppati appieno, in altri da vere e proprie incongruenze (la figura del marito di Anna su tutti).
Ciliegina sulla torta, si aggiungono accompagnamenti musicali (tra i nomi coinvolti ci sono Childish Gambino, Max Richter e MYSS KETA) spesso ‘dissonanti’ con ciò che sta succedendo nella scena complementare (ma pare sia una bizzarra scelta voluta a monte …) e qualche panoramica ‘a effetto’ su boschi e sul fascinoso campanile sommerso, giusto a conferire all’insieme un bell’effetto da cartolina (nonostante gli omicidi, sarà sicuramente soddisfatta del risultato la Pro Loco di Curon e dintorni).
Insomma, non si può che concludere, con un certo sconforto (visti i titoli che arrivano – anche – dal resto dell’Europa), che questo ennesimo prodotto originale di genere italiano non si sia certo rivelato un passo avanti rispetto al già sconfortante Luna Nera. Capire il perché prodotti fanta-horror vengano interamente affidati a individui che tali generi li hanno (forse …) visti solo in TV è un mistero degno a sua volta di una serie.
L’unico augurio che possiamo farci è che, proprio come per Luna Nera, nella seconda stagione – assai possibile viste le molte risposte da dare ancora – le cose migliorino sensibilmente, per non rimanere l’ultima ruota del carro.
Di seguito il trailer di Curon, nel catalogo di Netflix dal 10 giugno:
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