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Titolo originale: The Craving , uscita: 01-01-2008. Regista: Sean Dillon.

Reality Z (stagione 1) | La recensione della serie brasiliana che rifà Dead Set (su Netflix)

10/06/2020 recensione film di William Maga

La miniserie horror del 2008 di Charlie Brooker viene aggiornata in salsa carioca, per un risultato non esattamente originale ma comunque satirico e splatter

reality z serie 2020 netflix

La prima cosa che balza all’occhio vedendo Reality Z, serie horror originale brasiliana di Netflix, è la bizzarra ‘assonanza’ con la realtà del 2020. I 10 episodi da 40 minuti della prima stagione sono infatti ambientati all’interno della ‘casa’ di un reality show nazionale – chiamato Olimpo: la casa degli dei – che imprevedibilmente diventa l’unico luogo sicuro di Rio De Janeiro dopo l’improvviso scoppio di una classica epidemia zombie che devasta velocemente la città. La cosa ironica (?) è proprio che, solo pochi mesi fa, i partecipanti al Grande Fratello qui in Italia (ma lo stesso vale per molti altri paesi del mondo dove il programma è andato regolarmente in onda) siano effettivamente diventati loro malgrado i meno facilmente ‘infettabili’ dal coronavirus che si è rapidamente sparso sul pianeta. Vita che imita l’arte, oppure il contrario?

In ogni caso, Reality Z oltre a non essere soltanto l’ennesimo prodotto a base di non morti che ci propina la TV / cinema, è anche un remake. Nel 2008, un Charlie Brooker che non sognava nemmeno lontanamente che da lì a poco avrebbe avuto tanto successo con Black Mirror, sviluppava infatti la semi sconosciuta (almeno dalle nostre parti) miniserie britannica Dead Set, che, per l’appunto, in pieno ‘boom da Grande Fratello & affini’ mescolava i due concept (reality + zombie outbreak) per un risultato causticamente satirico e ricco di dark humor.

reality z serie netflix 2020 posterOltre dieci anni dopo, mentre in Italia ci dobbiamo beccare Curon (la recensione), Netflix ha deciso di riadattare Dead Set a uno scenario brasiliano, trovando una collaborazione molto efficace con Cláudio Torres (A mulher invisível, O homem do futuro), che è entrato a far parte come produttore e regista dell’ambizioso progetto.

Tra gli aspetti più interessanti di Reality Z, almeno a prima vista, è come il tema trattato – al di là dell’ambientazione – sembri ‘parlare’ a un pubblico internazionale trasversale (o, almeno, tanto a chi vive la situazione socio-culturale in Brasile quanto quella in Italia, tutto il mondo è paese …), poiché trasferisce sullo schermo un contesto decisamente familiare e vicino a noi, inserendo, al di là dei doverosi riferimenti popolari locali (che alla fine sono l’unica particolarità ‘evidente’), cenni a come i social network – in particolare Twitter – influenzino ormai pesantemente ogni aspetto della vita di ognuno di noi e, nello specifico, siano fondamentali per il successo o meno di un programma televisivo, a prescindere dalla qualità dello stesso.

A rendere invece ‘riconoscibile’ il contesto brasiliano – e in qualche modo a differenziare Reality Z e Dead Set – contribuisce poi anche il buon lavoro del team degli effetti visivi della Conspiração Films, guidato da Claudio Peralta, ai quali si devono l’allargamento dello scenario principale, con l’azione che si sposta anche all’esterno degli studi di registrazione per mostrarci la solitamente paradisiaca Rio de Janeiro in fiamme e in preda al caso a poche ore dall’inizio dell’epidemia di zombie nella megalopoli (curiosamente, questo è un aspetto che in qualche modo accomuna lo show al film The End? L’inferno fuori del nostro Daniele Misischia).

Rimanendo sugli aspetti tecnici, merita un plauso anche il team dedicato al make-up e alle protesi. Forse per qualcuno potrebbe sembrare un lavoro ‘ordinario’, ma in Brasile gli artisti chiamati a lavorare a Reality Z hanno dovuto affrontare un lungo e burocratico processo per ottenere gli stampi necessari a lavorare, perché fino ad allora non erano mai stati utilizzati nelle produzioni brasiliane (già!). Quindi, alla luce dei risultati davanti agli occhi di tutti, si può dire – se non altro – che tra i meriti della serie Netflix ci sia quello di aver spinto l’industria locale, ricca di talenti, a muovere i primi passi verso un nuovo modo di fare cinema e TV, abbandonando la zona di comfort del mercato nazionale entro cui era rimasta fino ad oggi.

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I riferimenti a esponenti di spicco del genere come The Walking Dead sono evidenti, e quasi inevitabili in contesti contemporanei / moderni (il riferimento è alla freschezza di prodotti come la coreana Kingdom, per rimanere in tema di serie originali targate Netflix, che però è in costume). Nulla di particolarmente nuovo sotto il sole da questo punto di vista, tra cadaveri smembrati, budella estratte dai corpi e addentate e supermercati saccheggiati. La grazia di Reality Z, in fondo, è più che altro quella di ‘abbracciare’ senza paura il suo essere derivativa. Celebrando il terrore e deridendo la cultura pop del 21° secolo, la serie fa inoltre appello più all’umorismo macabro che all’horror vero e proprio (anche se, graficamente, con sangue copiosamente zampillante e organi esposti a più riprese, la resa non è certo lontana da quella di prodotti internazionali più blasonati).

Parlando del cast, il personaggio probabilmente più riuscito è Brandão (Guilherme Weber), piena espressione della natura egoistica dell’essere umano come postulata prima dal latino Plauto (homo homini lupus) e poi dal filosofo Thomas Hobbes; i suoi atteggiamenti sono praticamente primitivi nel suo graduale e istintivo tentativo di sopravvivere. Anche la protagonista femminile, Nina (Ana Hartmann), segue un percorso simile, ma con una barbarie leggermente meglio ‘indirizzata’. Se l’uomo, infatti, diventa un vero ‘mostro’, lei accoglie il gruppo di cui entra a far parte e i suoi sforzi sono tutti a favore del trovare il modo migliore per sfuggire a quella disperata e pericolosa situazione, per quanto lei stessa non sappia esattamente cosa significhi, diventando una leader e portando lo spettatore a curarsi di quanto le succederà.

Gli altri membri del reality show, tuttavia, sono invece meno sfaccettati e ‘importanti’, con la presentatrice, interpretata da Sabrina Sato (nota conduttrice anche nella realtà) ad aggiungere al tutto un tocco di ‘credibilità’.

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La direzione di Cláudio Torres sembra tenuta a freno per i primi cinque episodi, seguendo fedelmente la storia originale di Charlie Brooker, ma è dalla seconda metà della stagione, a cui ha collaborato più attivamente il direttore della fotografia Rodrigo Monte, che le cose si fanno decisamente più interessanti e ‘originali’. E quando Reality Z decide di sganciarsi dal canovaccio noto di Dead Set, uscendo ad esempio dall’Olimpo e inserendo una drag queen tra i partecipanti, che la serie cala infatti sul tavolo le sue carte migliori.

Certo, come da copione del sottogenere la gente inizia a morire e le azioni dei superstiti si intrecciano sempre di più, sia emotivamente che fisicamente, lo splatter abbonda, ma – forse memori della lezione di George A. Romero – gli autori scelgono a un certo punto di calcare la mano sugli aspetti più politicamente impegnati del soggetto, evidentemente un nervo scoperto in Brasile, satirizzando ampiamente sui comportamenti della classe dirigente locale, una presa in giro lampante che si affianca così al sapido commento critico sulla società brasiliana – o italiana? – (vediamo triangoli amorosi, nudità, inganni e rivelazioni ‘clamorose’, un tributo sia alle tradizionali dinamiche ‘acchiappa audience’ dei reality show che alle soap opera per cui l’industria dell’intrattenimento nazionale è famosa nel mondo).

A differenza di Dead Set, poi, una seconda stagione nel caso di Reality Z sembra più che mai possibile (sebbene ancora non ci sia nulla di certo al momento), quindi aspettiamoci ulteriori imprevedibili sviluppi visto che le sceneggiature saranno a questo punto davvero inedite.

Oh, se siete stufi di zombie e di remake potete sempre cercare Curon tra le novità ‘originali’ di Netflix. Poi ne riparliamo.

Di seguito trovate il trailer internazionale di Reality Z, nel catalogo di Netflix dal 10 giugno: