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Voto: 7.5/10 Titolo originale: The Terror , uscita: 26-03-2018. Stagioni: 2.

The Terror, la serie (Stagione 1): analisi approfondita di un unicum nell’attuale panorama horror TV

06/06/2018 recensione serie tv di Sabrina Crivelli

L'adattamento del romanzo di Dan Simmons prodotto da Ridley Scott si rivela un drama storico dalle atmosfere angoscianti, in cui il terrore si distacca dalle consuete dinamiche del piccolo schermo e si radica nelle tenebre dell'animo umano

The Terror (2018) serie

Unica nel suo genere, la serie TV originale The Terror, prodotta da Ridley Scott e creata da David Kajganich, che ha debuttato in Italia su Amazon Prime Video il 26 marzo scorso (negli Stati Uniti su AMC il giorno precedente), ci mostra non solo che sia ancora possibile confezionare un prodotto seriale terrificante, capace di lasciare lo spettatore del tutto inquieto, ma al contempo di non riproporre una volta ancora quei quattro concept ritriti che ormai dominano il panorama televisivo.

L’irresistibile ripetitività del piccolo schermo oggi

Il piccolo schermo è atavicamente conservativista, è un fatto insindacabile. La sua programmazione stessa, scandita da serie TV in sequenza, tende a opporsi intrinsecamente all’innovazione. Sembra un discorso singolare, ma riflettete: il principio del procrastinare in più episodi e, se sovviene il successo di pubblico, in più stagioni, implica di per sé la preferenza verso titoli già consolidati, che vengono portati avanti molte volte fino allo sfinimento. Non solo, se un’idea che ha particolare seguito, c’è da essere certi che poco dopo, come funghi, spunteranno filiazioni ed emuli.

Così l’offerta televisiva, almeno quella relativa al genere horror – che comunque non è particolarmente cospicua – finisce per essere suddivisa in un pugno di macro-tematiche dominanti che possano funzionare anche presso un audience generalista, che non suscitino troppo scalpore (non si può eccedere certo in scabrosità se si vuole rastrellare una fascia di spettatori più ampia possibili) e, soprattutto, non implichi eccessivo rischio d’impresa.

Così abbiamo, tra le proposte ancora in onda tra il 2017 e il 2018, pochi dominatori assoluti, i più con decorso pluriennale. Primeggia il survival in scenario apocalittico, declinato in versione zombie in The Walking Dead (dal 2010), nel suo spin-off Fear of the Walking Dead (dal 2015) e nel più casereccio, ma più inventivo Z Nation (dal 2014); in pandemia metereologica nel recente The Rain di Netflix (già rinnovata) oppure in ecatombe vampiresca in The Strain (2014 – 2017) e in Van Helsing (dal 2016). Poi ci sono i serial killer, come Bates Motel (2013-2017) e il derivativo Scream (dal 2015), accompagnato dalle sue libere variazioni su tema Scream Queen (2015-2016) e Slasher (dal 2016).

Ugualmente generati da un originale filmico sono Ash vs Evil Dead (2015-2018), Sleepy Hollow (2013-2017) e The Exorcist (2016-2017). A ciò si aggiungono i teen horror di lunga data, quali Teen Wolf (2011-2017) e The Vampire Diaries (2009-2017). Infine ci sono gli imperituri American Horror Story (dal 2011) e Supernatural (dal 2005), accanto ai “ripescaggi” a scoppio ritardato, ossia i revival di X-Files (1993-2018) e Twin Peaks (1990-2017). Conclude la lista il fieramente nostalgico Stranger Things (dal 2016). Gli unici a destare probabilmente più interesse sono allora Channel Zero (dal 2016) e Westworld (dal 2016), il primo piuttosto low budget, il secondo non prettamente afferente all’horror.

Ovviamente si tratta solo di una panoramica generale e che non ha la pretesa di essere omnicomprensiva, ma se diamo uno sguardo veloce alle serie menzionate sopra appare piuttosto palese che:

A) La maggior parte di esse o staziona – o ha stazionato – lì per anni, lustri, alcune addirittura decadi.

B) I nuclei tematici fondamentali, con qualche eccezione, sono sempre gli stessi. Si pone quindi il quesito se si possa davvero rivoluzionare con un’illuminante nuova tematica l’immaginario horror ormai consolidato in una serie di categorie. E in fondo è per forza un male partire sempre dai medesimi nuclei? In fondo si possono creare capolavori anche rielaborando del materiale di partenza piuttosto convenzionale, basti pensare al meraviglioso Penny Dreadfull (2014-2016).

C)  Nel complesso, almeno se si prendono in esame il biennio 2017-2018, non c’è nessuna sconvolgente novità: o siamo all’ennesima stagione di qualcosa che avrà anche potuto essere innovativo qualche anno fa’, ma che ha fatto il suo corso, oppure di qualcosa di non inedito per nulla. Certo, alcuni potranno controbattere che appena nel 2016 Stanger Things è stato un vero e proprio caso, ma il suo punto di forza è proprio la citazione stessa dei cult anni ’80.

The Terror, un orrore differente, radicato in fatti realmente accaduti

Arriviamo così a The Terror, show della AMC in 10 episodi di circa una cinquantina di minuti ciascuno che segue le peripezie degli equipaggi britannici di due navi, la Terror e la Erebus, bloccate nelle gelide e inospitali terre polari artiche. Anche in questo caso non siamo di fronte a un soggetto originale, perchè la serie è tratta dal romanzo horror fantasy del 2007 di Dan Simmons La scomparsa dell’Erebus (The Terror).

Anzitutto, punto di forza del materiale originario è il fatto che le derive fantastiche siano costruite intorno a eventi storici realmente accaduti. Forse proprio per questo le molteplici e letali peripezie dei marinai, che lentamente si fanno trascinare verso il baratro dagli istinti più bassi e distruttivi, sono così ansiogeni, tanto da lasciare in chi guarda una profonda sensazione di inquietudine, che va molto l’apparizione improvvisa dell’entità soprannaturale di turno, dell’ennesimo zombie o vampiro, o del serial killer assetato di sangue.

The Walking Dead, American Horror Story – e così via –  suscitano solo piccoli superficliali spaventi, tesi in ultima analisi a intrattenere il pubblico con la propria capacità affabulatoria, magari a creare anche una certa dipendenza, ma qui tutto si esaurisce. The Terror è differente. Difatti è tutto accaduto veramente e Simmons si è limitato, dopo aver  esplorato fonti storiche e testimonianze raccolte dagli studiosi nel tempo, ad inserire in uno scheletro tangibile, reale, taluni elementi fantastici, che però rimangono in qualche modo marginali, quasi funeree allucinazioni. Rimane però la cronaca, o meglio il mistero che avvolge gli eventi storici realmente accaduti.

Siamo nel 1845, quando salpano verso l’Artico l’ammiraglia della Marina Britannica Erebus e la Terror, ambedue vascelli con alle spalle diverse vittoriose missioni esplorative in Antartide ed equipaggiate ad uopo per affrontare il rigorosissimo inverno artico.

A cimentarsi nel viaggio alla ricerca sono 129 uomini, tra cui anche ufficiali, personale medico e civili, mentre a capeggiarli è sir John Franklin e l’obiettivo è Canada del Nord e la ricerca del fantomatico Passaggio a Nord-Ovest. Dopo essersi spinte parecchio a settentrione, le ciurme svernano sull’isola di Beechey per poi avanzare in direzione Sud-Ovest, ma nei pressi dell’isola di Re Guglielmo nel 1848 le imbarcazioni rimangono imprigionate nei ghiacci, dove – come si apprenderà in seguito – sono in ultimo abbandonate.

Tuttavia ci vogliono decadi per ricostruire le vicissitudini accadute dopo l’agosto del 1945, data dell’ultimo avvistamento delle navi al largo della Baia di Baffin. Difatti la spedizione di Franklin da quel momento svanì nel nulla, senza lasciare alcuna traccia.

A ricostruire gli oscuri accadimenti fu a distanza di più di un lustro il medico John Rae della Compagnia della Baia di Hudson, il quale raccolse nel 1853 reperti e testimonianze delle popolazioni Inuit autoctone. In seguito, ulteriori spedizioni e ricerche confermarono quanto da lui riportato. Tuttavia bisogna attendere più di centocinquanta anni per il ritrovamento della Erebus: il suo relitto è stato rinvenuto solo nel 2014, in perfetto staato di conservazione, durante una spedizione del National Geographic.

Sorge quindi naturale una domanda: cosa successe a quegli uomini? A fornire una risposta, in tempi piuttosto recenti, è il professore di antropologia Owen Beattie della University of Alberta, il quale con un’equipe di scienziati condusse una serie di analisi sui resti e sui reperti nei pressi delle tombe di alcuni membri dell’equipaggio di Franklin, e quanto ne emerse fu davvero agghiacciante.

Difatti, oltre alla tubercolosi e alla polmonite, tra le possibili cause di decesso c’era anche l’intossicazione da piombo, dovuto alla cattiva saldatura delle scatolette in dotazione per la missione. Più nello specifico, il fornitore al ribasso, Stephen Goldner, aveva prodotto le 8.000 scatole in sole sette settimane utilizzando proprio il piombo per le saldature, che poi era penetrato negli alimenti (cfr. Owen Beattie, Frozen in Time: The Fate of the Franklin Expedition, 1987).

Un’altra ipotesi era anche l’avvelenamento a causa del malfunzionamento del sistema di desalinizzazione. Più in generale, le suddette cause, a cui si aggiunsero lo scorbuto, l’ipotermia, la fame, delle condizioni climatiche durissime e la carenza di equipaggiamento e alimentazione adeguati, condussero alla morte l’intero equipaggio della Erebus e della Terror. Fatto ancora più sinistro, alcuni tagli nelle ossa dei cadaveri ritrovati fanno pensare ad atti di cannibalismo.

Le mille insidie tra i ghiacci

Partendo da scabrosi eventi realmente accaduti, in parte romanzati da Dan Simmons, ma già di per sè sufficienti a far venire i brividi, gli episodi di The Terror riescono ad addentrarsi nelle vicende descritte con un realismo quasi tattile.

Peregrinando nelle ataviche paure dell’uomo, vengono indi materializzate, via via che la narrazione procede, le terrificanti ombre insite nella nostra natura in maniera così concreta da farci sentire il gelo sulla pelle mentre guardiamo i protagonisti errabondare nella neve in preda alla tempesta, tradirsi e ammazzarsi tra loro. Siamo presi anche noi da indicibile angoscia quando uno ad uno i personaggi si ammalano e lentamente se ne svela la causa. Poi tutto è vano, non c’è nulla da fare, poiché l’origine del male è ciò che dovrebbe dare nutrimento e non resta per sopravvivere che inghiottire un altro boccone che inevitabilmente porterà un passo più vicini a una dolorosissima, raccapricciante morte. Un macabro paradosso, non c’è che dire!

Diverse sono le mostruose entità che senza requie incalzano gli sventurati membri della spedizione artica. Anzitutto, presenza raggelante quanto tangibile c’è il freddo pungente, mortale del Grande Nord. Lo si percepisce quando ghermisce le navi con i suoi ghiacci in una stretta impossibile da sciogliere. Si concretizza nei campi lunghi sulle distese ricoperte di bianco (si tratta di uno scenario interamente ricostruito in teatro di posa!) su cui batte una brezza gelida. Pare quasi di sentirlo nelle ossa quando seguiamo uno dei marinai mentre è di ronda fuori, a scarpinare nella neve alta, trascinandosi faticosamente e infreddolito.

E’ qualcosa di vivo e di invasivo l’inverno artico, un mostro crudele e inesorabile che divora chiunque stazioni nei territori da lui dominati. L’ambiente si trasforma allora in un vero e proprio incubo, tra la claustrofobia delle cabine / prigione delle navi, che però rappresentano un riparo, e l’estensione sconfinata, straniante di quei teRritori inesplorati e e senza punti di riferimento.

Poi c’è il Tuunbaq, una creatura totemica intimamente legata a uno degli Inuit, il quale viene per sbaglio ucciso. Ne consegue l’ira della creatura, che diffonde il terrore tra l’equipaggio delle navi e miete decine di vittime. Mostro dalle fattezze di orso, almeno alla lontana, appare come una creatura mitologica e spaventosa, il cui design è stato curato da Neville Page (artista che in precedenza ha lavorato a Cloverfield).

Vista l’ambientazione, d’altra parte,  l’aura quasi mitologica che circonda il Tuunbaq potrebbe inizialmente apparire quale il risultato della cultura ottocentesche, ancora aperta a stupefacenti scoperte scientifiche e nuove specie.

Tuttavia, la creatura assume via via contorni sempre più sovrannaturale, fino a divenire l’incarnazione ancestrale della natura selvaggia di quei luoghi contro cui gli esploratori britannici combattono, un po’ come l’allegorica battaglia tra il capitano Achab e la balena bianca Moby Dick. Il tanto feroce predatore è davvero maligno o è solo il difensore di uno degli autoctoni (come la cultura Inuit suggerisce)? O forse sono gli invasori britannici che deturpano quei luoghi dove prima regnava l’equilibrio e uccidono i loro pacifici abitanti ad essere i veri malvagi?…

Homo Homini Lupus: di tutti i pericoli l’uomo è il più letale

Se molti sono quindi i pericoli che terrorizzano l’equipaggio della Terror e della Erebus, ma il nemico più temibile è al suo interno, sono i suoi uomini stessi. Viene mostrata ogni declinazione dell’animo umano in una vasta gamma di sfumature con accuratezza scientifica. Anzitutto i comportamenti all’interno di questo microcosmo seguono le norme, ormai già insensate, della rigida etichetta britannica. L’idea di classe emerge allora perfino in quelle lande selvagge, a farla valere c’è un tracotante quanto stupido Lord John Franklin (Ciarán Hinds), capitano della spedizione la cui arroganza impedisce di vedere la sua gravità della situazione.

Suo contraltare è Francis Crozier (Jared Harris), capitano della Terror, che assai meno bada alla forma e molto più alla sostanza. I due rappresentano perfetti opposti sociali e antropologici, l’uno emblema di una nobiltà tronfia ed incapace, a cui vengono conferiti incarichi solo per il titolo e la posizione che occupano, l’altro invece l’uomo d’ingegno e di buona volontà, che combatte per non sottostare ai rigidi dettami, che fraternizza con i suoi sottoposti e che non si crede migliore di loro. Tra i due ci sono peraltro dei trascorsi, che in una serie di digressioni ci sono mostrati lungo gli episodi e che pian piano danno profondità ai personaggi.

Seguiamo quindi il lento degenerare dei diversi individui, nonché della spedizione nella sua interezza. Man mano che allora più e circostanze si fanno più disperate e la speranza di ripartire e portare a termine la missione svanisce, le dinamiche del gruppo e del singolo si fanno sempre più marcata e manichee.

Sotto quest’estrema pressione, con un misterioso morbo che sembra uccidere uno ad uno i marinai, con una belva che li attacca sulla nave e poi pedina nella ritirata verso sud, vengono alla luce i più bassi istinti umani, al contempo le doti più eroiche. Anche in questo caso si tratta di una dinamica duale che domina i moti degli appartenenti alla spedizione di Franklin, che con il trascorrere del tempo si fa più marcata.

Da un lato gli eroi, i buoni sono guidati da Crozier, che insiste per portare con sé anche i malati, che perdona le debolezze dei suoi uomini e propugna l’amicizia come valore fondante del loro rapporto. Al suo fianco ci sono il fedele James Fitzjames (Tobias Menzies) e il nobile – fino al sacrificio estremo – John Bridgens  (John Lynch). Dall’altro, si staglia l’inumano, crudele e infido Cornelius Hickey (Adam Nagaitis) di cui seguiamo la parabola di tradimenti, violenza e omicidio, fino alla sua insubordinazione e alla fuga con un gruppo di ammutinati. In particolare, lo vediamo incrudelire contro gli Inuit, popolazione pacifica e saggia, che vive in armonia con quei luoghi e offre il proprio aiuto ai britannici in più occasioni, ricevendo sovente una terrinile ricompensa…

L’insensata cattiveria di alcuni dei membri della spedizione, la loro volontà di sterminare gli imbelli abitanti del luogo, nonché i propri compagni e ufficiali, mostra ancora una volta quanto il vero mostro in The Terror sia invero l’uomo stesso. La serie della AMC dipana in un algido scenario un racconto profondo, angosciante e acuto, che indaga nel profondo dell’animo umano e ci mostra il vero sconvolgente orrore che vi dimora. Sebbene perfettamente conclusa con la fine della season 1, si sta già parlando di una seconda stagione.

Intanto, potete avere un assaggio della prima stagione di The Terror dal trailer ufficiale di seguito: