Voto: 8/10 Titolo originale: Assault on Precinct 13 , uscita: 08-10-1976. Budget: $150,000. Regista: John Carpenter.
Dossier: Distretto 13 – Le Brigate della Morte di John Carpenter, uno spietato film d’assedio
30/04/2020 recensione film Distretto 13 - Le brigate della morte di Sabrina Crivelli
Nel 1976, il regista omaggiava Howard Hawks girando un western metropolitano duro e scioccante, gettando i semi sovversivi di quella che sarebbe stata la sua filmografia a seguire
Già in passato ci siamo concentrati sulla filmografia di John Carpenter, uno degli autori di cinema di genere più amato. Tra i nostri approfondimenti trovate infatti La Cosa (la recensione), Dark Star (la recensione), Grosso guaio a Chinatown (la riflessione), Elvis, il re del rock (la recensione) e Fog (la recensione). Insomma, abbiamo una vera e propria ossessione per il 72enne regista americano (il nostro incontro esclusivo).
Nel proseguire la riscoperta dei suoi classici, è oggi la volta di Distretto 13 – Le Brigate della Morte (Assault on Precinct 13) del 1976, la sua prima incursione nel mondo della regia da professionista, seguendo un programma preciso e avendo a disposizione un budget non infimo.
Una storia violenta e claustrofobica
Siamo nel Distretto 9 – Divisione 13, ad Anderson, in un quartiere immaginario a sud di Los Angeles. La centrale operativa della polizia di zona è in procinto di chiudere per sempre, poiché tutte le attività saranno trasferirete a breve in un’altra sede meno isolata (e perciò meno pericolosa). Il tenente Ethan Bishop (Austin Stoker), è stato appena promosso e riceve come primo incarico di supervisionare durante l’ultima notte di attività le attività dello sparuto personale rimasto, tra cui le centraliniste Leigh (Laurie Zimmer) e Julie (Nancy Kyes), per le ultime pulizie in vista del trasloco definitivo.
Tuttavia, quella che dovrebbe essere una tranquilla guardia notturna (forse addirittura un po’ noiosa) si trasforma in un vero e proprio bagno di sangue quando l’edificio diventa l’epicentro di un assalto in piena regola. A scatenarsi contro gli ignari protagonisti è una sanguinaria gang armata fino ai denti, i Tuono Verde (e i loro associati, i Voodoo), che da tempo mette a ferro e fuoco la zona sud della città, che in molti hanno abbandonato proprio a causa dei disordini e delle continue sparatorie.
Tra le tante vittime, quel pomeriggio, c’è una ragazzina (Kim Richards), che si trova nel posto sbagliato e al momento sbagliato, e finisce freddata con un proiettile a brucia pelo in mezzo al petto. A pochi metri c’è il padre (Martin West), che rimane sconvolto dall’accaduto e che, in preda alla rabbia, dapprima si vendica contro gli autori del misfatto (e uccide il loro capo), poi, spaventato, si rifugia nella centrale di polizia dove si trova Bishop, in cerca di aiuto. L’uomo non sa però che il personale al suo interno è al minimo, mentre i suoi inseguitori invece sì.
Dunque, attirata sul luogo, la banda di teppisti vuole entrare nell’edificio col solo intento di massacrare chiunque si trovi al suo interno. Infatti, i criminali hanno la possibilità di vendicarsi contro la polizia e dare al contempo la caccia a chi ha osato eliminare il loro capo. Col calare delle tenebre, gli attacchi si susseguono allora senza sosta. Ogni porta, ogni finestra, ogni via di accesso è invasa da orde di aggressori. Per fortuna, a difendere la posizione non sono soltanto il poliziotto e le due donne.
Poco prima dell’assalto, alcuni detenuti, tra cui Napoleone Wilson (Darwin Joston) e Wells (Tony Burton), proprio nel mezzo del loro trasferimento da un penitenziario a un altro, si trovano a passare vicino al Distretto 13. Qui, il loro viaggio s’interrompe per un’improvvisa emergenza medica che li costringe alla sosta, e i due carcerati, insieme a Leigh, Julie e Bishop, dovranno unire le forze superando la reciproca diffidenza nel tentativo di resistere fino al mattino, o almeno finché non arriveranno i rinforzi.
Un classico di Hollywood che incontra l’irriverenza del cinema explotation
Oggi tutti abbiamo presente il cristallino talento di John Carpenter ma, sebbene Dark Star del 1974 (suo debutto ufficiale dietro alla camera da presa quando era ancora uno studente alla University of Southern California) possedesse un indubbio fascino e mostrasse già il suo talento, difficilmente qualcuno all’epoca avrebbe potuto presagire la maestria e il salto di qualità messi in campo poco tempo dopo con Distretto 13 – Le Brigate della Morte.
Il regista – che ha firmato anche la sceneggiatura del film, originariamente intitolato The Anderson Alamo, con le pseudonimo John T. Chance, dal nome del personaggio interpretato da John Wayne in Un dollaro d’onore – mette in scena un vero e proprio inferno; non solo, l’impresa è stata realizzata partendo dal modestissimo budget di 100.000 dollari e girando solamente per poche settimane, ma con piena libertà creativa. Il risultato finale resta qualcosa di indimenticabile, una pietra miliare capace come pochi altre di carpire i sentimenti di quel momento storico. Si potrebbe arrivare a definire addirittura una delle sue pellicole migliori, capace di sovvertire le dinamiche del thriller fino ad allora conosciute.
Bisogna anzitutto pensare che a metà degli anni ’70, quando il giovane John Carpenter si stava apprestando a girare la pellicola, l’action non era ancora un genere ben definito, almeno non nei termini in cui noi lo conosciamo oggi. Quindi, Distretto 13 – Le Brigate della Morte (uscito negli USA nel 1976 e in Italia nel 1979) si basava soprattutto sulle dinamiche del thriller classico combinando tensione e ritmo incalzanti. Tuttavia, tale suspense è costruita gradualmente. Perciò, la prima mezz’ora circa parte più lenta, più ‘rilassata’: le sequenze che la compongono sembrano – all’apparenza – meno significative.
Oltre a preparare i momenti di frenetica azione, hanno anche una seconda funzione. Le lunghe scene introduttive, come quella che segue il tenente Bishop mentre si dirige al suo nuovo incarico in automobile, a detta di John Carpenter stesso servivano a ‘diluire’ il budget a disposizione, perché per girarle ci è voluto poco in termini finanziari, ma nel montato finale hanno occupato una buona sezione del minutaggio. Non si tratta, però solamente di un escamotage per ottimizzare i pochi mezzi economici a disposizione. Il regista costruisce sapientemente la tensione in questa sezione ‘preparatoria’, che introduce la narrazione vera e propria e mostra alcuni antefatti fondamentali alle dinamiche che si verificano poi.
Anzitutto, ciò è vero per gli spezzoni che ci danno un’idea dei violenti scontri tra i Tuono Verde e le forze dell’ordine, ossia una delle basi per l’assalto al Distretto 13. Non solo. Nei primi 30 minuti sono descritti anche altri due avvenimenti centrali che conducono all’edificio alcuni dei personaggi principali. Da un lato, un padre e la figlioletta si stanno dirigendo a casa della sorella maggiore scappata via di casa con un balordo.
I due vorrebbero convincerla a tornare, ma il destino ha altri piani in serbo per loro. Si imbattono in tre affiliati della gang (o meglio, dei Vodoo, che sono loro affiliati) che sta battendo la zona in cerca di qualche obbiettivo a caso per una rappresaglia contro gli sbirri. La piccola muore, lui la vendica uccidendo a sua volta uno degli assassini, poi è costretto a scappare dal resto della banda. Al contempo, per un caso fortuito, un pullman che trasporta un manipolo di detenuti deve fare una fermata d’emergenza perché un prigioniero a bordo si sente male. Ne consegue che Napoleone Wilson e Wells sono momentaneamente tenuti in custodia al Distretto 13 quando – casualmente – l’assalto d’improvviso inizia.
Una volta che Lawson uccide White Warlord (Frank Doubleday), innesca una catena di eventi che avranno il loro apice nell’assalto al Distretto 13, generando un crescendo da brivido. Il primo attacco è silenzioso, ma letale: salta la luce, poi l’agente Chaney e i poliziotti di scorta muoiono crivellati dai proiettili, lasciando le fila degli occupanti subito dimezzate. I superstiti sono solo cinque, Napoleone e Wells ancora ammanettati e rinchiusi nelle loro celle (che dopo poco vengono liberati e armati), Bishop, e le due centraliniste Leigh e Julie. C’è anche Lawson, ma conta poco, perché rimane catatonico dal momento in cui fa il suo ingresso nell’edificio.
A partire da questo momento, quindi, possiamo assaporare davvero le notevoli doti alla regia di John Carpenter, che riesce a coordinare l’azione e dirigere il suo cast in modo magistrale. Inoltre, genera una tensione costante costruita sull’avvicendarsi degli attacchi su diversi fronti. La location principale in cui si svolge l’attacco, infatti, vede due fazioni opposte scontrarsi: gli aggressori che si lanciano sfondando i vetri e i loro avversari che cercano disperatamente di difendere la propria posizione mal equipaggiati e con un pugno di munizioni. Si arriva in tal maniera all’apoteosi finale nel seminterrato, in cui Bishop spara a un serbatoio di acetilene per far saltare in aria l’orda, dopo che Leigh ha spinto i criminali nel condotto di areazione.
Sebbene in principio destinato a un pubblico di amati dei film di exploitation, Distretto 13 – Le Brigate della Morte è stato scritto riprendendo alcuni caratteri fondamentali del cinema drammatico degli anni ’40. I dialoghi, ovviamente, sono stati svecchiati e la lingua un po’ troppo rigida del dopoguerra è stata sostituita con il parlato colorito da gangster movie della Warner Bros.
Emblematico è in tal senso il dialogo:
Leigh: “In vita mia non ho mai creduto nell’aiuto che mi viene dal di fuori”.
Napoleone Wilson: “Forse sei sempre stata insieme a gente sbagliata”.
Leigh: “Sono stata in polizia per ben cinque anni”.
Napoleone Wilson: “Lo dicevo io che hai sbagliato tutto”.
Le scelte a livello di copione, però, non hanno aiutato ad attrarre il massiccio pubblico dei drive-in. Al contrario, quando il film uscì nelle sale americane non ebbe particolare seguito. Tuttavia, fu poi distribuito in Europa (acclamato da una standing ovation alla prima al London Film Festival ) e si guadagnò la sua fama imperitura. L’eredità della Hollywood classica si percepisce lungo tutta la narrazione, fondendosi però con l’esplosività e la brutalità della Nuova Hollywood. In altre parole, Un dollaro d’onore (Rio Bravo) di Howard Hawks incontra qui La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead) di George A. Romero, dando vita a un’opera unica e inimitabile.
Da un lato, l’adorazione di John Carpenter nei confronti del western del 1959 traspare dai personaggi e dei legami che via via si costruiscono tra di loro. Nella fattispecie, stiamo parlando della repentina storia d’amore tra Napoleone Wilson e Leigh (incarnazione dell’eroina tosta). Eppure, l’obiettivo del regista non era di girare un remake di Un dollaro d’onore. Attinse dal suo film favorito per ciò che gli serviva (il canovaccio, le dinamiche psicologiche dei protagonisti, una serie di dettagli come il lancio del fucile da caccia e il tormentone ricorrente: “Hai da fumare?“).
A ciò si sommano spunti che rimandano alle fonti più eterogenee, inclusi Zulu di Cy Endfield, Il massacro di Fort Apache di John Ford, C’era una volta il West di Sergio Leone e pressoché l’intera cinematografia noir e poliziesca dei decenni precedenti. In ogni caso, non si tratta della mera copia di qualcos’altro, ma di uno studio attento delle fonti per realizzare un western urbano dal sapore antico ma carpenteriano fino al midollo, che adotta un approccio molto moderno alla violenza.
Il tenente afroamericano Ethan Bishop è l’eroe cinematografico classico. Si tratta di un uomo di legge convinto dell’importanza di proteggere chi è in pericolo, chiunque esso sia. Addirittura, è disposto ad allearsi con due pregiudicati perché, dopo anni di servizio, sa valutare la vera natura di chi gli sta davanti. Infatti, lui stesso proviene dai bassifondi e proprio lì ha sviluppato il suo profondo senso di giustizia. Dunque, l’incarico che riceve al Distretto 13 – che inizialmente sembra un lavoro da nulla- lo riporta alle sue origini. È cresciuto ad Anderson e in gioventù è riuscito a sfuggire a qualcosa di simile ai Tuono Verde.
Gli viene da sorridere, quindi, mentre racconta a Leigh:
Sono cresciuto proprio in questo quartiere, quando avevo quattro o cinque anni mio padre mi mandò qui un giorno con un biglietto, un poliziotto lo lesse e disse: “Se lo fai un’altra volta ti chiudo in cella”.
Se vi chiedete cosa fece di tanto terribile da piccolo perché il padre lo portasse in commissariato, ce lo spiega poco dopo affermando: “Solo perché avevo detto una parolaccia in presenza di mia madre”. Così, con pochi piccoli dettagli è definita la sua psicologia.
Il personaggio interpretato da Austin Stoker è al centro di due momenti epocali di Distretto 13 – Le Brigate della Morte. Anzitutto, quando realizza che ad attirare la gang nell’edificio è stato Lawson, lo sconosciuto apparentemente inerme e in preda al terrore arrivato lì quella notte. Julie, terrorizzata, propone di arrendersi e di consegnare subito l’uomo ai suoi inseguitori. Il tenente rifiuta secco, affermando: “Questa è una stazione di polizia. Ed è qui che lui è venuto. E avrà tutto l’aiuto che potremo dargli“. La sua dedizione e integrità, d’altronde, sono subito messe in chiaro nella sequenza di apertura del film, quando dichiara di aver voluto diventare un eroe fin dal suo primo giorno del nuovo lavoro.
“Non ci sono più eroi, Bishop”, gli risponde il Capitano, “solo uomini che seguono gli ordini”. Nulla di più falso; Bishop segue gli ordini, protegge un uomo in cerca di aiuto e proprio per questo diviene un eroe. Il secondo momento topico è invece alla fine, quando si rifiuta di lasciare che un poliziotto ammanetti Napoleone Wilson (pur sempre un criminale) e invece offre al criminale di uscire dal palazzo al suo fianco, in segno di rispetto per il ‘compagno di battaglia’. La performance di Austin Stoker – che in seguito sarebbe apparso per lo più in serie televisive – in questi ultimi pochi minuti è indimenticabile.
Dal canto suo, Napoleone Wilson rappresenta l’archetipico del cattivo ragazzo dal cuore d’oro. Quando vediamo la sua lealtà verso persone che conosce a malapena nel momento di pericolo, ciò cancella immediatamente i suoi crimini passati (di cui comunque lo spettatore ha un’idea molto vaga). Tra l’altro, non viene mai chiarito perché sia stato condannato a morte, ma deve essere qualcosa di notevole, vista la gravità della pena, nonché la sua ‘notorietà’ tra le fila dei poliziotti.
Alcuni potrebbero replicare che ci sono dozzine di criminali con codici d’onore inappellabili nei crime drama americani. Napoleone Wilson però si differenzia nettamente dalla categoria. Non per forza proviamo quella innata solidarietà e simpatia per il personaggio, almeno non solo basandoci sulle poche informazioni che ci sono fornite dai dialoghi e dalle scene in cui è presente. È il fascino della performance di Darwin Joston a far gran parte del lavoro.
L’attore è stato uno dei grandi talenti più sottovalutati – e sottoutilizzati – degli anni ’70. Lo ricordiamo in cult di quali Eraserhead di David Lynch e Fog (richiamato espressamente da John Carpenter), per poi darsi negli anni ’80 a B-movies come Time Walker e a comparsate in show TV come ALF e Supercar. Tornando a Distretto 13 – Le Brigate della Morte, il modo in cui rende sullo schermo il caustico umorismo del personaggio che interpreta ci conquista fin dalla sua prima inquadratura e riesce a render credibili perfino battute banali come “Sono nato fuori tempo”.
Se i due protagonisti maschili sono notevoli, non dobbiamo dimenticarci di un terzo elemento fondamentale del cast di Distretto 13 – Le Brigate della Morte: Laurie Zimmer nei panni di Leigh. Intelligente, spiritosa, capace e inarrestabile, si prende pure un proiettile nel braccio e non emette nemmeno un sibilo, pur di riuscire ad attirare un membro della banda in un’imboscata. La centralista incarna la classica eroina dei film di Howard Hawks, ed è tranquillamente in grado di reggere il confronto coi colleghi uomini, ma è anche il prototipo della donna volitiva ed emancipata che si incontrerà spesso nella cinematografia di John Carpenter.
Memorabile è il modo, nella scena conclusiva, in cui rifiuta una barella offertale da un portantino e se ne va sulle sue gambe, spavalda. Laurie Zimmer, inoltre, è il perfetto complementare di Darwin Joston, quando offre infine a Napoleone Wilson la bramata sigaretta e l’accendino che lui ha chiesto per l’intero film.
La morte della piccola Kathy: uno scioccante pugno allo stomaco
Tra i momenti più celebrati e citati di Distretto 13 – Le Brigate della Morte, c’è l’omicidio a sangue freddo della piccola Kathy, che non solo costituisce il catalizzatore dell’assalto, ma è anche uno di quei momenti cinematografici che lasciano lo spettatore di stucco.
È reso in modo tanto fulmineo, crudo e cinico da aver quasi fatto conferire al film un V. M. 18, ed rappresenta la prima affermazione forte dello stile unico John Carpenter (anni dopo, il regista ha ammesso che, tornando indietro, probabilmente non girerebbe più questa scena, passata all’epoca in censura grazie a un espediente) .
Far assassinare a sangue freddo una graziosa bambina con le treccine bionde dopo nemmeno 30 minuti del proprio film di debutto (se non si conta Dark Star) è sicuramente una mossa coraggiosa, forse sciocca (commercialmente), considerato che rompe un tacito tabù del cinema americano fino a quel punto, minacciare si, ammazzare no. Certo, la sequenza è preparata con cura e gli spettatori percepiscono in qualche modo ciò che di tremendo sta per succedere. Ciononostante, si è persuasi fino all’ultimo che non accadrà davvero, che la piccola non morirà, e invece in un’inquadratura netta e senza fronzoli la vediamo accasciarsi a terra con un buco in petto.
L’effetto dell’omicidio di Kathy colpisce ancora adesso che crediamo di essere immuni agli ‘shock cinematografici’; quella manciata di fotogrammi insanguinati lascia basito il pubblico odierno come quello di quarant’anni fa. A rendere il tutto ancor più disturbante fu poi il fatto che Kim Richards, l’interprete di Kathy, era una beniamina di film per famiglie, protagonista del fantasy Disney Incredibile viaggio verso l’ignoto uscito nei cinema solo l’anno prima, nel 1975.
Inoltre, il suo omicidio enfatizza il nucleo narrativo di Distretto 13 – Le Brigate della Morte a più livelli. Bishop e gli altri non sanno che i membri della gang con cui stanno per scontrarsi hanno appena ucciso una bambina. Al contrario, non verranno mai a conoscenza del motivo per cui Lawson stesse scappando dai Tuono Verde. Solamente gli spettatori sono a conoscenza di ciò che è avvenuto. Quindi, il fatto che Bishop insista a proteggerlo, pur all’oscuro di ciò che gli è accaduto, enfatizza ulteriormente il suo coraggio, il suo valore. Insomma, ci sembra ancora più eroico proprio perché noi sappiamo dei tragici trascorsi dell’uomo che è arrivato al Distretto 13 in cerca di protezione, ma il tenente no.
Inoltre, l’esecuzione a sangue freddo della giovanissima innocente influisce in qualche modo anche sul giudizio che ci facciamo di Napoleone Wilson. Reo confesso, dichiara di aver ‘abbracciato’ qualcosa che ha a che fare con la morte (strizzando l’occhio a C’era una volta il West di Sergio Leone). Tuttavia, gli spettatori sanno che qualunque cosa abbia fatto, non potrà mai essere così vile e spregevole come sparare, senza nemmeno guardarla in faccia, a una dodicenne per la strada. Per contrasto con i veri criminali, Napoleone Wilson non può allora che risultare un ‘bravo ragazzo’ … o almeno siamo disposti a percepirlo così durante l’assedio.
In ultimo, l’uccisione di Kathy è legata a un un altro aspetto assai potente di Distretto 13 – Le Brigate della Morte: la malvagità quasi soprannaturale dei membri dei Tuono Verde (e dei loro alleati, i Voodoo). Il film non tenta minimamente di rendere in maniera ‘realistica’ questi criminali, né John Carpenter ha interesse per le implicazioni sociali della violenza tra bande. Non siamo affatto di fronte a una moderna banda dei quartieri poveri di Los Angeles, ma a un incrocio tra gli zombi di George A. Romero e gli Apache dei western della vecchia Hollywood.
Gli appartenenti alla spietata gang, multirazziale, si muovono in gruppi disciplinati, operano senza fare il minimo rumore (anche quando gli sparano o sono colpiti in faccia con un piede di porco) e, fatta eccezione per qualche parola scambiata durante un ‘rito di sangue’, non parlano praticamente mai. Sono un’entità collettiva irragionevole, ma astuta, tanto che quando scorgiamo che uno di loro sul sedile posteriore di un’auto sta per sparare a Wells – durante il suo tentativo di fuga -, pensiamo che sia stato il sesto senso della banda ad aver determinato la posizione strategica del tiratore proprio in quella macchina. Insomma, ha preparato la trappola prevedendo il percorso dei possibili fuggitivi. Offrono inevitabilmente all’audience un qualche opportunità di inquadrarli a livello personale, culturale o sociale.
Un budget limitato non pregiudica la creazione di un classico del genere ‘film d’assedio’
John Carpenter e il suo direttore della fotografia, Douglas Knapp, hanno una padronanza stupefacente nell’uso del widescreen, che riesce a far sembrare un film girato con fondi limitatissimi un prodotto di alto livello. Ogni scatto di Distretto 13 – Le Brigate della Morte è una vera e propria lezione di composizione. Non si tratta di una fotografia ostentata, a caccia di un Oscar facile; è naturale e studiata insieme, coinvolgendo senza sforzi e senza retorica gli spettatori nell’azione e conferendo alla pellicola l’aspetto rifinito delle produzioni a sette zeri.
Un esempio delle trovate geniali in termini di regia che caratterizzano il film? Pensate a come viene presentata la Chevy di Lawson, mentre lo vediamo all’inseguimento dell’auto degli assassini della figlia. La telecamera riprende la scena lateralmente da una piattaforma fissata sulla prima auto in modo tale che vediamo solo il fanale anteriore sinistro di quest’ultima e quelli della macchina dietro che la sta inseguendo.
Sullo sfondo, il tramonto riempie di rosso il cielo, quasi a premonizione della notte di sangue che ha già avuto inizio. Non solo è un’immagine filmica innegabilmente bella, ma ha anche un’importante funzione narrativa. Segue la transizione dal giorno alla notte, mostrando intanto l’ossessione di Lawson e creando il giusto climax per la sua vendetta, che in una manciata di minuti porterà all’uccisione di White Warlord, da cui partirà la reazione a catena del plot. Questo genere di inquadrature ricercate e raffinate si ripete lungo il film.
A completare il tutto ci pensa infine lo scenografo Tommy Wallace (già collaboratore di John Carpenter in Dark Star). Le riprese degli interni del Distretto sembrano davvero essere state fatte in una vera centrale di polizia, e non su un set a Melrose. Pensate inoltre ai dettagli: perfino le macchie sulle pareti aggiungono uno strato tangibile di autenticità alla location. Più in generale, Distretto 13 – Le Brigate della Morte ci comunica un clamoroso senso dello spazio, anche grazie alle innumerevoli angolazioni da cui la mdp esplora gli ambienti. Lo stesso vale per i pochi esterni, che di tanto in tanto vengono catturati dall’obiettivo. Per esempio, il parcheggio di fronte all’edificio (nella finzione cinematografica) in cui i membri della gang si nascondono, si trova a North Hollywood, dalla parte opposta di Los Angeles rispetto a Venice, ossia dove hanno filmato gli esterni.
In ultimo, anche se John Carpenter ha lavorato a molte colonne sonore nella sua carriera, quella di Distretto 13 – Le Brigate della Morte è probabilmente tra le sue migliori, minimale e seducente. Il motivo martellante e ritmato del tema principale, assieme al più triste intitolato “Julie” (un altro chiaro omaggio ad Howard Hawks e alle musiche di Jerry Goldsmith per il suo Rio Lobo), sono davvero notevoli. È in puro stile Carpenter … come tutto il resto nel film.
Una finale, naturalmente, nichilista
I nostri tre protagonisti riescono a sopravvivere in qualche modo all’assalto, a superare la notte e riescono a uscire dall’edificio tutti interi. Tuttavia, la fedina penale di Napoleone Wilson non ottiene alcun beneficio dal suo fondamentale contributo, e l’uomo resta destinato al braccio della morte in attesa dell’esecuzione capitale. Ben poco c’è da festeggiare insomma, anche perché i loro compagni di sventura, sette in tutto, sono morti uno dopo l’altro, mentre i membri superstiti dei Tuono Verde continueranno ad agire indisturbati, seminando il panico per le strade di L.A. e sparando ai ragazzini che si fermano ignari a comprare un cono al camioncino dei gelati.
Di seguito il trailer internazionale di Distretto 13 – Le Brigate della Morte:
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Fonte: BG