[I diari del Lido: il Cineocchio a Venezia 74] Giorno 3 – La mancata estasi
01/09/2017 news di Giovanni Mottola
Grande accoglienza per Redford e Fonda, Leoni d'Oro alla carriera. Nel frattempo, con i film di Schrader e Friedkin va in scena il lato discutibile della cristianità. Per quello nobile, meglio andare a Venezia ad ammirare Veronese e Tintoretto
L’onore di chiudere Venezia 74 toccherà sabato 9 a Takeshi Kitano con Outrage: Coda. Del maestro giapponese, oltre ai film, è degna di rilievo una battuta: “Il 3D è una tecnica che va bene solo per i porno”. Sarebbe interessare utilizzare in questo modo l’ancor più innovativa “Realtà Virtuale”, che dà agli spettatori l’impressione di essere protagonisti del film, e vedere l’effetto che fa. Chi volesse emozionarsi, comunque, anziché prendere la navetta per andare a vedere il virtuale, farebbe meglio a salire sul vaporetto che porta al sestiere San Polo o a Dorsoduro dove è possibile ammirare la Scuola Grande di San Rocco o la Chiesa di San Sebastiano. In questi due luoghi sono conservati, rispettivamente, i più importanti cicli pittorici del Tintoretto e del Veronese. Due capolavori che suscitano nei visitatori una meraviglia che rasenta l’estasi. Entrambe a tema religioso, con episodi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento, oltre a costituire due tra i maggiori esempi dell’arte figurativa di ogni tempo, sono anche la prova del valore della cristianità, non solo in senso religioso, ma anche storico e culturale. Potrà sembrare un rilievo fuori tema, ma in realtà non siamo in preda a una crisi mistica. Il fatto è che negli ultimi due giorni la Mostra del Cinema ha trattato a più riprese tematiche legate alla fede, offrendone però, con le opere di William Friedkin e Paul Schrader, solo il quadro desolante.
Friedkin, noto in particolare per il film L’Esorcista, è tornato sul tema che gli ha tributato una popolarità mondiale per raccontare questa volta un esorcismo vero con The Devil and Father Amorth. Dopo l’uscita del film con Max Von Sydow, Padre Amorth, esorcista ufficiale della Diocesi di Roma, gli comunicò il suo apprezzamento per un’opera che, sebbene a suo parere fosse troppo ricca di effetti speciali, spiegava perfettamente l’importanza e il valore della sua attività. Friedkin ha raccontato al pubblico che lo scorso anno fu lui a rimettersi in contatto con Padre Amorth per chiedergli di filmare un suo vero esorcismo, aspettandosi un netto rifiuto. Il sacerdote invece ha acconsentito, a condizione che non partecipasse alcun membro della troupe, ma soltanto il regista con una piccola camera a mano. Gli ha permesso di riprendere il nono esorcismo (a quanto pare ne sono necessari numerosi per estirpare il demonio) su Cristina, una ragazza di Alatri. Dopo un’introduzione di Friedkin che rievoca il suo film di quarant’anni prima e introduce la storia della giovane, la telecamera c’introduce nella stanzetta di Padre Amorth. Qui sono radunati tutti i parenti della ragazza, che tengono in mano rosari e recitano formule. Il sacerdote viene descritto come uomo di spirito che si diverte a irridere il diavolo: in effetti lo vediamo che gli fa marameo con la mano sul naso oppure la linguaccia. La sensazione è di trovarsi davanti a un attore più che a un prete ed è già tanto che al termine del suo intervento non riceva l’applauso dei presenti. Ci sembra inammissibile che un sacerdote impegnato in una pratica cui si vuole attribuire serietà acconsenta a farla riprendere, come se si trattasse di una chiacchierata al Grande Fratello. Non si dà poi conto del fatto che anche la ragazza abbia acconsentito e già questa è una lacuna gravissima. Ella si dimena, emette frasi confuse in falsetto perché è il demonio a parlare per lei, poi a un certo punto si cheta. Finché Amorth non decide di esorcizzare anche i suoi genitori: in quel momento il demonio riprende a manifestarsi nella giovane, che sembrava guarita. Se fin qui la credibilità del documento è rimessa alle personali convinzioni dello spettatore, nella seconda parte sfocia quasi nel ridicolo: il regista mostra le immagini dell’esorcismo ad alcuni esponenti americani della comunità scientifica, i quali sembrano tutti disposti ad accettare l’esorcismo come alternativa a interventi chirurgici al cervello, e non dà conto dell’opinione contraria, che siamo certi non manchi. Al termine della proiezione il regista ha dichiarato che, se avesse assistito prima a un esorcismo, non avrebbe girato il celebre film di quarant’anni fa. Povero Friedkin, pronto a sconfessare il suo capolavoro in nome di qualcosa che agli occhi del pubblico non è parso nemmeno vero.
Il film di Paul Schrader è invece molto più dignitoso, e soprattutto è per lui un mezzo riscatto dopo i pessimi The Canyons e il recente Cane mangia cane. Il protagonista è il reverendo Toller (Ethan Hawke), che vive una crisi personale da quando ha perso un figlio in guerra. Offre assistenza a un’anima in pena, un ambientalista fanatico che ritiene la Chiesa in combutta con alcune multinazionali e nasconde in casa il materiale per un attentato. Sta per diventare padre, ma pensa che il mondo non abbia futuro. Il reverendo finirà col fare propri i tormenti del giovane, mancando così in modo prevedibile al suo ruolo di guida spirituale. A nostro parere First reformed soffre di un difetto di fondo: quello di voler dare uno scandalo fine a sé stesso. Da tempo Schrader ha una visione apocalittica delle cose, ma in questo caso, anziché mostrare le angosce di un essere che prima di essere un prete è un uomo, sembra spingersi impropriamente a sposare cause buone per sette di fanatici, dando così l’impressione di giustificare il fondamentalismo. Hawke, per quanto bravo, appare fuori parte. A meno che il regista non abbia voluto sfruttare il suo lato fascinoso, il che conferirebbe ulteriore linfa ai nostri dubbi.
Usciamo dai discorsi troppo impegnati e chiudiamo annunciando la grande attesa per la cerimonia della consegna dei Leoni d’Oro alla carriera a Jane Fonda e Robert Redford, in programma per questa sera insieme alla proiezione del loro ultimo film, Our souls at night di Ritesh Batra. I due divi si sono presentati oggi in conferenza stampa: lei semplice nella sua eleganza, con camicia bianca alla coreana, lui elegante nella sua semplicità, con una giacca sportiva grigio melange sopra a una maglietta bianca girocollo. A differenza della brillantissima Fonda, Redford aveva l’aria un po’ stanca, ma ha risposto con entusiasmo alle domande sul Sundance Film Festival, di cui è l’animatore fin dai primi anni Ottanta e dalla cui scuola proviene tra gli altri proprio Batra, regista di quest’ultimo film. Che, com’era prevedibile, è passato in secondo piano, diventando solo il pretesto per interrogare sul tema dell’amore i due divi, che non hanno mai avuto una relazione ufficiale nella vita vera, ma sono stati innamorati per tutta la vita sul grande schermo. Jane Fonda ha tenuto a rivelare che Redford bacia molto bene. Nessuno può saperlo meglio di lei, che ha cominciato ad assaporare le sue labbra nel 1967 sul set di A piedi nudi nel parco e continua ora con Our souls at night, che narra la storia di due anziani vicini di casa. Non ci saranno ulteriori occasioni, perché Redford ha annunciato che, ultimati i progetti già in corso, si dedicherà solo alla regia. Alla domanda scontata su come cambi l’amore con l’avanzare dell’età, Redford ha offerto risposta di altrettanta maniera. Ma prima di farlo, quasi inconsciamente, si è sfilato la giacca ed è rimasto in maglietta alla stregua di un adolescente, dimostrando che l’età è soltanto una bugia del calendario. In quel momento, si capiva benissimo, Jane Fonda ha avuto una voglia matta di baciarlo ancora una volta.
A domani.
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