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Voto: 7.5/10 Titolo originale: The Wicker Man , uscita: 06-12-1973. Budget: $810,000. Regista: Robin Hardy.

Recensione story: The Wicker Man di Robin Hardy

10/01/2018 recensione film di Sabrina Crivelli

Un magnetico Christopher Lee è l'iconico leader di un culto celtico in cui vigono orge e sacrifici umani nel capolavoro maledetto del 1973

Contraddistinto da quello stile visionario che spesso ha guidato la cinematografia degli anni ’70, The Wicker Man (1973) di Tom Hardy è rimasto negli annali come uno dei più conturbanti e singolari film incentrati su una setta. Ispirato al romanzo di David Pinner Ritual, a rendere ancora più memorabile questo imperdibile titolo è la presenza e l’eccezionale performance di Christopher Lee nei fascinosci panni di Lord Summerisle, governatore di un’isola remota al largo della Scozia e leader della misteriosa forma di paganesimo di derivazione celtica praticata dall’isolata comunità.

Allo stesso modo magistrale è la recitazione del resto del cast, da cui emergono Edward Woodward (Agente Callan, spara a vista), Britt Ekland (Agente 007 – L’uomo dalla pistola d’oro), Diane Cilento (Tom Jones) e Ingrid Pitt (La morte va a braccetto…).

Questo mistery horror, che ebbe un certo plauso della critica soprattutto specializzata all’epoca (a incassi invece andò molto male, complice anche le decurtazioni di minutaggio imposte dalla censura), venne sceneggiato da Anthony Shaffer, il quale a distanza di un quindicennio – nel 1989 – lavorò poi al trattamento di un possibile sequel non autorizzato intitolato Loathsome Lambton Worm, con un più marcato lato fantasy e che non fu mai girato, anche a causa anche del disinteresse di Hardy.

Questi invece, dopo un ulteriore notevole lasso di tempo, nel 2011, finì per dirigere un successore spirituale, The Wicker Tree (clamorosamente inedito nel nostro paese quanto il capostipite), che vedeva ancora Lee in uno dei ruoli principali. Nel 2006 è uscito invece l’omonimo remake americano (in Italia intitolato Il prescelto) di Neil LaBute, con Nicolas Cage nei panni del poliziotto nell’originale incarnato da Woodward.

In ogni caso, protagonista di The Wicker Man è il sergente Howie (Woodward), che approda nella sperduta Summerisle nel corso di un’indagine per la sparizione di una giovane donna, Rowan Morrison (Gerry Cowper), dopo aver ricevuto una lettera anonima. Tuttavia, una volta arrivato, si accorge anzitutto che gli autoctoni, dediti a un antico rito celtico tramandatogli dai propri avi, non hanno alcuna intenzione di collaborare alle indagini, anzi tutti, compresa la madre della scomparsa, negano che ella sia mai esistita.

Se la situazione è di per sé sospetta, diviene ancor più inquietante dopo l’incontro con il capo della comunità, Lord Summerisle, un possidente terriero che incoraggia per tradizione familiare l’adorazione di antichi dei e supervisiona con entusiasmo delle importanti celebrazioni, quelle che ruotano attorno al  periodo del calendimaggio. Tuttavia, con l’avanzare delle ricerche e l’avvicinarsi della fatidica data, una terribile verità riguardante il culto pian piano affiora e Howie scopre che al centro dei riti propiziatori ci sono sacrifici umani.

Contraddistinto da un estremo intellettualismo, The Wicker Man non è certo un film immediato, né la sua forza sta nella smaccata spettacolarità e velocità a cui ci ha ormai abituato un certo cinema mainstream. Al contrario, è costruito un crescendo graduale, ma angosciante, denso di dettagli e suggestioni visive e sonore, in cui la rappresentazione di un paganesimo sanguinario e ancestrale è contraddistinta da una simbologia panica dalla grande potenza, primo fra tutti l’Uomo di vimini, quel fantoccio antropomorfo fatto di rami e paglia che in molte civiltà vernacolari viene bruciato a scopo apotropaico e incarna il simulacro di una vittima sacrificale umana.

A ciò si somma una congerie di singolari usanze, come danze di stampo medievaleggiante di giovani con nastri di tessuto attorno a un arbusto, pratiche orgiastiche peraltro aperte a partecipanti d’età adolescenziale, strani dogmi trasmessi ai fanciulli, delineandosi così una peculiare forma di idolatria dalla marcata componente sessuale e dai plurimi riferimenti all’immagine fallica.

Non mancano altresì i nudi femminili e le danze sfrenate: memorabile è in particolare quella ammaliante performata dalla Ekland nella stanza affianco al poliziotto, malia carnale il cui richiamo però si rivela uno snervante logorio della volontà della vittima prescelta.

La percezione d’un pericolo incombente, dunque, è edificata secondo una configurazione dicotomica, si nutre dell’attrito tra il cattolicesimo, che caratterizza Howie, e la spinte dionisiache e primitiviste della società autoctona. Si concretizza in tal maniera una tentazione pre-cristiana, quella di una femminilità dirompente che mette in discussione i rigidi precetti giudaico-cristiani con una sensualità incontenibile, connessa immediatamente al peccato e non solo.

Andando più a fondo nell’indagine del tessuto simbolico particolarmente elaborato, non può non sorgere alla mente l‘idea di Eros e Thanatos, dittologia di genesi classica, ma anche di reminiscenza freudiana e daliniana. A completamento infine dell’emisfero visivo, compete a trasmettere allo spettatore un profondo senso di straniamento la colonna sonora, ne è un esempio Willow’s Song di Paul Giovanni, che funge da sottofondo alla scena sopracitata.

Arcano e conturbante, The Wicker Man mira a immergere chi guarda in un mondo surreale, sospeso tra allucinazione e tangibile, tra cristianesimo e paganesimo, tra civile modernità e cruento e carnale primitivismo, lasciandolo in uno stato confusionale e d’inquietudine. Proprio per questo forse, per i molteplici elementi controversi e per la buona dose di blasfemia, l’approdo in Italia della pellicola è stato assai macchinoso e avvenuto con notevole ritardo: la premiere televisiva risale infatti solo al 2002, mentre in home video il film è tutt’ora una chimera.

Di seguito il trailer internazionale di The Wicker Man: