Il diario da Venezia 79 (2022), episodio 4: tira un brutto clima (e i pronostici signora!)
10/09/2022 news di Giovanni Mottola
Chiudiamo la nostra dieci giorni parlando di presenti e di assenti, di proteste e di premi. Tutto in regola ci pare
All’ultimo giorno di Mostra del Cinema 2022, mentre ci si trova impegnati a pronosticare i vincitori, capita di ricevere un messaggio sul telefono da Sabrina, titolare del noleggio biciclette del Lido, con l’annuncio di una manifestazione programmata per il pomeriggio e la conseguente raccomandazione di parcheggiare il mezzo in zona sicura per evitare danni di sorta.
L’allarme è pienamente fondato, dato che i manifestanti sono gli attivisti che si battono per la giustizia climatica e già abbiamo dato conto del gesto di cui sono stati capaci due di essi alle Gallerie dell’Accademia, quando hanno poggiato la mano sulla Tempesta di Giorgione.
Già tre anni fa si organizzò tale protesta in corso di Mostra del Cinema: sfilarono circa 3.000 persone e centinaia di esse campeggiarono ai bordi del Tappeto Rosso. Pare che il bivacco questa volta non sarà permesso, ma i numeri dovrebbero essere più o meno gli stessi. Essi sono radunati già da cinque giorni a Venezia, dove hanno dato vita alla Venice Climate Camp, della quale la sfilata di stasera sarà l’atto conclusivo.
Dal documento di presentazione della manifestazione si può notare che protestano contro il ricorso ai combustibili fossili, ma anche contro il gas, “la più grande menzogna verde di questo secolo”. Non solo. “Con lo scoppio della guerra in Ucraina la narrazione intorno alla necessità di una riconversione ecologica ha subito un’assurda svolta. Anziché cogliere l’opportunità per una riconversione a fonti di energia rinnovabile, per un ripensamento del proprio fabbisogno energetico, i Paesi dipendenti dal gas russo hanno dato il via a progetti di centrali di rigassificazione per importare il gas naturale liquefatto dagli USA, stanno investendo nella riapertura di impianti a carbone o stanno riconsiderando il nucleare”.
Accettano di buon grado solo le energie rinnovabili, e non hanno dubbi su dove attribuire le colpe dell’attuale situazione. “Quando si parla di responsabilità ambientali, gli esseri umani non sono tutti uguali, sono stati i sistemi creati da alcuni esseri umani, come il capitalismo, il colonialismo e il patriarcato a portarci nella situazione in cui siamo”.
In effetti, il Capitalismo è un sistema che rivela ogni giorno di più i suoi limiti, ma bisognerebbe domandare a queste migliaia di attivisti con quali mezzi abbiano raggiunto Venezia da ogni parte del mondo per sostenere le loro tesi. Bicicletta? Monopattino? Mongolfiera?
Non sono forse essi stessi i primi ad organizzare iniziative nello spirito del capitalismo ed avvalendosi dei suoi mezzi? Ma, soprattutto, preso atto della bontà delle loro proposte a lungo termine, quali soluzioni concrete propongono per fronteggiare i problemi del presente?
A questa domanda non forniscono risposta, a differenza di quel che tenta di fare Oliver Stone con il suo Nuclear, documentario presentato fuori concorso per sostenere con favore il ricorso alle centrali nucleari. Egli parte dalla concretezza: “Mi piacerebbe che l’energia solare ed eolica potessero bastare, ma da qui al 2050 non avremo abbastanza energia elettrica per tirare avanti. Non possiamo far finta di niente”.
Oliver Stone intende smontare la simbiosi tra la bomba atomica e le centrali nucleare, aggiungendo che “questa correlazione è frutto di una paura errata, generata dalla disinformazione fomentata dalle lobby del petrolio e del carbone, le quali producono rapporti sul pericolo di contaminazione sulle difficoltà di stoccaggio delle scorie e sul pericolo di esplosioni, quando in realtà l’energia nucleare è centinaia di volte più sicura dei carburanti fossili”.
Ovviamente non ci compete prendere posizione. Ci limitiamo a fornire un suggerimento locale e specifico per il bene del clima: abbassare l’aria condizionata delle sale della Mostra del Cinema. Le temperature sono letteralmente polari: si passa dai 30 e passa gradi dell’esterno alla necessità di maglioni e sciarpe all’interno.
Se lo sapesse il nostro Primo Ministro uscente Mario Draghi, in base alla sua bizzarra teoria “pace o condizionatori”, concluderebbe che le speranze di una fine del conflitto sono irrimediabilmente lontane. Il difetto della temperatura è stato uno dei maggiori motivi delle lagnanze – insieme alla capziosità del sistema di prenotazione delle proiezioni – espresse sul ‘Muro’ di Gianni Ippoliti, come da tradizione raccoglitore di vari sarcasmi legati all’organizzazione del Festival e ai film presentati.
Ha vinto il Premio per la miglior stroncatura una battuta in cui si sostiene che Alberto Barbera per l’edizione numero 80 sostituirà anche la carta del gabinetto con un QR Code digitale. Battuta in realtà un po’ debole, ma sintomatica di un problema, quello del fanatismo per la digitalizzazione, molto avvertito presso il pubblico della Mostra (come immodestamente avevamo segnalato fin da subito).
Copiosamente attaccate anche le opere selezionate, in ispecie quelle italiane, accomunate da una sciatteria, da una mediocrità di interpretazioni e da una banalità formale mai viste. Passi per gli oriundi Luca Guadagnino e Andrea Pallaoro (che pure non ci hanno convinto, il secondo soprattutto) ma i tre film totalmente di casa nostra Il signore delle Formiche di Gianni Amelio, L’Immensità di Emanuele Crialese e Chiara di Susanna Nicchiarelli sono lontanissimi dal risultare anche solo degni di partecipare ad un Concorso Cinematografico internazionale prestigioso come quello di Venezia.
Della scelta è responsabile Alberto Barbera, a meno che non dimostri che di tutti i 250 film che ha dichiarato essere stati realizzati quest’anno in Italia questi fossero davvero i migliori, o quantomeno i più interessanti. Ne dubitiamo fortemente, pur conoscendo lo stato comatoso del nostro cinema.
L’altro giorno abbiamo scherzato prendendo a riferimento un episodio deprimente che ha visto protagonista Alessandro Gassmann come metafora della differenza di qualità di un cinema che oggi vede lui protagonista in luogo di suo padre Vittorio. Avremmo potuto citare Ugo Tognazzi e Ricky, o trovare tanti altri esempi. E’ bastato qualche giorno perché il concetto si estendesse molto al di là dello spettacolo. L’altro ieri, dopo settanta anni di regno, è morta la Regina Elisabetta II. Oggi viene proclamato nuovo Re suo figlio Carlo. Il resto è silenzio.
I pronostici di Venezia 79
La qualità è sempre solitaria. Quando, in una rosa di nomi, è difficile individuare il migliore, vuol dire che il livello è mediocre. Questa è esattamente la situazione di questo Concorso, dove non vi è un film che spicchi davvero sugli altri.
Il più apprezzato da critica e pubblico è stato The Banshees of Inisherin di Martin McDonagh (già autore di Tre manifesti a Ebbing, Missouri), ma spesso il migliore non vince e poi non sembra essere allineato sui temi che solleticano l’attualità politicamente corretta.
A questo proposito vale la pena citare un episodio accaduto ieri. In Sala Grande è stato proiettato il film No Bears del regista iraniano Jafar Panahi, assente giustificatissimo in quanto in un carcere di Teheran. Arrestato una prima volta nel 2010 perché accusato di lavorare ad un film contro il regime era stato poi rilasciato su cauzione. Subì inoltre l’ulteriore condanna al divieto di dirigere, produrre e scrivere film, oltreché viaggiare all’estero e rilasciare dichiarazioni, per vent’anni.
Nonostante questo il Maestro è riuscito in questi anni con alcuni mezzi di fortuna a realizzare lungometraggi, tra cui Taxi Teheran, vincitore dell’Orso d’Oro a Berlino nel 2015. Nel 2016 è stato riportato in carcere, ma ora è riuscito ugualmente a far arrivare il suo film a Venezia. In Sala la sua poltroncina è rimasta vuota: la platea ha applaudito, la giuria era commossa e i vertici della Biennale erano tutti compresi del loro ruolo di sostenitori della libertà artistica. Tutto giusto. Peccato che in Sala, oltre alla sedia di Panahi ce n’era un’altra vuota. Era quella di Andrej Končalovskij o quella di Aleksandr Sokurov, o di qualunque altro artista russo: persone perbene ripudiate da questa Mostra in nome di quella stessa libertà artistica che ieri, con il vestito buono e i lacrimoni agli occhi, si è dichiarato di voler difendere.
Se queste saranno le categorie di ragionamento anche in fase di premiazioni, la Mostra del Cinema è aperta ad ogni possibilità.
Il punto fermo sarà almeno un premio al film di un nome importante come Luca Guadagnino (per di più mezzo italiano e mezzo americano, il massimo), Bones and all (la recensione), forse addirittura due se si deciderà di premiare come miglior attor giovane la protagonista Taylor Russell. Il Leone d’Oro sembra eccessivo, ma potrebbe essere pronto un Gran Premio della Giuria.
Il Leone d’Argento/premio alla Miglior Regia lo ipotizziamo nelle mani di Romain Gavras, figlio di Costa, sia per i virtuosismi di macchina sia per la storia di rivalsa sociale ambientata in un quartiere povero di Parigi.
La Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile la assegniamo il Premio a Brendan Fraser per The Whale di Darren Aronofski, mentre per la Coppa Volpi Femminile andiamo in controtendenza con Cate Blanchett – sfavorita in quanto già troppo nota e pluripremiata – perché è di una levatura inavvicinabile da chicchessia e perché il film Tar di Todd Field non potrebbe essere interpretato con uguale efficacia da nessun’altra attrice.
Resta il Primo Premio, il Leone d’Oro, che viste le scelte eternamente inclusive delle giurie scegliamo di ipotizzare a un film che non ci è piaciuto per nulla, cioè Monica di Andrea Pallaoro, storia di un uomo che per la sua scelta di diventare donna viene ripudiato dalla madre.
Il riepilogo
Leone d’Oro: Monica di Andrea Pallaoro
Leone d’Argento Miglior Regia: Athena di Romain Gavras
Gran Premio della Giuria: Bones and all di Luca Guadagnino
Coppa Volpi Miglior Attore. Brendan Fraser (The Whale di Darren Aronofski)
Coppa Volpi Miglior Attrice: Cate Blanchett (Tar di Todd Field)
I diari dei giorni scorsi, ricchi di aneddoti
Di seguito il trailer di Monica:
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